Secolarizzazione
La secolarizzazione (il cui significato si riconduce al termine latino saeculum, con il significato di mondo), è quel fenomeno per il quale la società – nel suo complesso – non adotta più un comportamento sacrale, si allontana da schemi, usi e costumi tradizionali; questo fenomeno investe tutto il sistema dei valori, modificandoli e, con essi, trasformando anche le identità, le appartenenze, comprese quelle laiche o laicizzate. Il termine saecularizatio era in precedenza usato nel diritto canonico per indicare il normale passaggio di un sacerdote appartenente a un ordine religioso al clero secolare, o una lecita destinazione di beni ecclesiastici a scopi mondani[1].
La secolarizzazione è un processo tipico dei paesi occidentali in età contemporanea, che induce ad agire e a pensare (nei confronti della natura, del destino, del ruolo dei cittadini nella società) in modo sperimentale e utilitaristico, mai sacrale e trascendente.
Questo fenomeno, che può essere considerato come un aspetto della modernizzazione, è stato incentivato dall’istruzione obbligatoria, come anche dall’espansione dell’istruzione in generale e dei mezzi di comunicazione di massa; inoltre è sollecitato anche da altri fenomeni di mobilitazione sociale quali l’urbanizzazione, l’industrializzazione e la mobilità di classe.[senza fonte]
La secolarizzazione può essere identificata, in alcuni paesi e ambiti culturali, con il concetto di scristianizzazione in correlazione con la perdita di incidenza del “sacro” sulla società. Una parte della teologia l’ha interpretata, come realizzazione nel concreto del Cristianesimo, grazie alla distruzione che essa realizza del “Tempio” e dei suoi simboli di separazione e di gerarchizzazione.
La secolarizzazione è stata anche considerata il tramonto delle ideologie; essa mette in crisi anche altri soggetti, come lo stato, o i grandi partiti e movimenti di massa, in quanto contesta ad essi la pretesa di porsi come centro sacrale nella storia del mondo.
tratto da Wikipedia
Il simbolo del mistero
Colui che racchiude in sé la pienezza della virtù
è paragonabile a un pargolo,
che velenosi insetti e serpi non toccano,
belve feroci non artigliano,
uccelli rapaci non adunghiano.
Deboli ha le ossa e molli i muscoli
eppur la sua stretta è salda,
ancora non sa dell’unione dei sessi
eppur tutto si solleva:
è la perfezione dell’essenza,
tutto il giorno vagisce
eppur non diviene fioco:
è la perfezione dell’armonia.
Conoscere l’armonia è l’eternità,
conoscere l’eternità è l’illuminazione,
vivere smodatamente la vita è prodromo di sventura,
con la mente comandare il ch’i significa indurirsi.
Quel che s’invigorisce allora decade:
questo vuol dire che non è conforme al Tao.
Ciò che non è conforme al Tao presto finisce.
Tratto da: “La via del Tao”, Lao Tse, Piccoli Classici Bramante
L’Ardore
“Ti ricordi quand’eri bambina dei primi amori? Ricordi ciò che sentivi quando eri corteggiata da un tuo coetaneo? Ho ancora vivo il ricordo di due rose donate da un bimbo di nome Nazareno, prese e nascoste nella cartella di pelle e poi arrivata a casa subito abbeverate perchè potessero vivere a lungo o forse in eterno. Avevo dieci anni al tempo, ma ciò che vorrei da un uomo non è molto diverso da allora. Strade ne ho percorse, amori più o meno leciti, progetti, speranze, separazioni, illusioni. Non so se ho ancora voglia di essere il “dirigente della mia azienda”, non so se tale ruolo mi faccia sentire libera come vorrei. Libera di poter accogliere quelle due rose bianche e nulla di più, goderne il profumo, guardarle di nascosto mentre cambiano colore, sapendo che sono state scelte con ardore. Forse quello a cui non posso rinunciare è l’ardore, perchè senza di esso un pò si muore. Cerco la parola ardore ovunque, mentre scelgo le mele con cui fare un dolce, mentre pettino i capelli di mia figlia, mentre penso ad un nuovo progetto di lavoro, mentre bevo il tè nella tazza di porcellana fine con una amica. Non so se voglia di giocare un ruolo che solo in parte mi appartiene, facilitando la vita all’altro…in fin dei conti ho solo voglia di dare acqua a quelle rose.” Isabeau
Istruzioni per San Valentino
“Uno dei motivi fondamentali per cui nelle relazioni le donne si sentono frustrate è che non si rendono conto di esser loro a guidare il rapporto. Sotto ogni punto di vista siete voi gli amministratori delegati dell’azienda chiamata Relazione. Esattamente come non lascereste la vostra azienda nelle mani di un bambino di sei anni mentre voi ve ne andate in vacanza, allo stesso modo non dovete lasciare la vostra relazione nelle mani di uomo. Saper gestire un rapporto non fa parte delle sue competenze. E neppure del suo ruolo. Se continuate ad aspettarvi che un uomo rivesta tale ruolo, mieterete una delusione dopo l’altra. Non fraintendetemi, però. Ci sono cose che gli uomini sanno fare bene, ma gestire una relazione con una donna in genere non è fra queste. Dovete quindi essere disposte ad accollarvi la piena responsabilità della relazione, o questa non avrà buon esito. Il potere sta a voi e alle decisioni che prenderete. Un uomo è un canale, una conduttura per la Luce. Tutto qui. E il suo desiderio fondamentale farvi piacere. In quanto donne, il vostro ruolo è assecondare il suo desiderio di farvi piacere e sostenerlo nel suo compito di incanalare l’energia del Creatore in questo mondo. In altri termini lui vuole condividere la sua Luce con voi, vuole aver cura di voi, e il vostro compito è permettere che ciò accada. Accettando la Luce di un uomo nella vostra vita, diventerete responsabili di come questa Luce verrà indirizzata…..Capita troppo spesso che le donne, iniziando una relazione con un uomo, sperino nella buona sorte, invece di mettere subito al lavoro le capacità manageriali che sono loro intrinseche. Senza un’efficace gestione dell’energia, non può esistere una relazione sana. …. le donne non riconoscono pienamente la dimensione del loro potere e la loro capacità di rendere questo mondo un posto migliore, conducendo in maniera efficace le relazioni con gli uomini. Che cosa intendo per condurre una relazione? Consideriamo un esempio specifico. Se c’è un errore che molti datori di lavoro compiono, è questo: assumono velocemente e licenziano lentamente. Una posizione resta vacante e così il settore risorse umane cerca di colmarla il più in fretta possibile. Assumono qualcuno senza esaminarne a fondo il curriculum, fanno un colloquio sbrigativo, e poi che cosa scoprono? La persona che hanno assunto non è quella giusta per il lavoro. Per aggiungere la beffa al danno, ci mettono troppo tempo per farla andar via. … Molte donne commettono proprio questo errore nelle loro relazioni sentimentali. Ancora una volta, non comprendono che la direzione delle loro nuove assunzioni, potenziali partner, è interamente in mano a loro. Qual è la riposta a questo problema? Che cosa impara un capo efficiente? Assume lentamente e licenzia in fretta. Una dirigente di successo si prende il suo tempo per trovare la persona giusta per una determinata posizione. Ora, se qualcuno che avete assunto sembra andare alla grande, allora lo tenete a bordo. Ma se non sta funzionando, è tempo di liberarsi dalle zavorre, per il bene dell’azienda o, in questo caso, della relazione. Un manager che aspetta troppo a lungo a prendere questa decisione diventa inevitabilmente una manager frustrata. ”
Tratto da: “La Kabbalah e le leggi spirituali per la coppia felice”, Yehuda Berg, TEA 2008
ITALY LOVE IT OR LEAVE IT
Da lunedì 26 dicembre è disponibile su iTunes, sia in vendita che in video-on-demand distribuito da Under the Milky Way, il nuovo film di Gustav Hofer e Luca Ragazzi, Italy: Love It, or Leave It, già vincitore del Milano Film Festival (Miglior lungometraggio e Premio del pubblico), presentato – e premiato – in numerosi festival italiani e internazionali, da Rio de Janeiro ad Helsinki, da Cape Town ad Annecy (Premio della Giuria dei giovani), da Zurigo a Tolosa. Gli autori di Improvvisamente l’inverno scorso (Menzione speciale alla 58. Berlinale, Nastro d’Argento 2009) tornano con un “docu-trip” che “conferma l’esitenza di un’Italia nascosta, che non viene raccontata né dalla tv né dai telegiornali, e che però è l’Italia migliore, alla quale abbiamo voluto rendere giustizia dandole la possibilità, per una volta, di esprimersi con la propria voce”.
Il Sorpasso
Ci sono registi che sanno dipingere la realtà come le parole non riuscirebbero mai. “Il sorpasso” è un film di Dino Risi del 1962. I due protagonisti Bruno Cortona e Roberto Mariani, ritraggono due eloquenti esempi maschili dell’Italia degli anni 60′. Viene da accostarlo oggi al nuovo lavoro di Luca Ragazzi e Gustav Hofer: “Italy: love it or leave it”, un percorso in Cinquecento, alla scoperta di un’Italia tutta da salvare.
Cuore sulla neve stamattina
TUTTO QUANTO…..
“Tutto quanto concerne l’Anima si
svela spontaneamente ed ogni
sforzo razionale non fa che allontanarla.
Questo perche’ la sua natura
non e’ fenomenica. Si coglie
col cuore come una poesia, come
un’opera d’arte. Si sente, si ama
ma nessun concetto, come ombra
fugace e’ ad essa adeguato”.
Iperbole
L’iperbole (dal greco ὑπερβολή, hyperbolé, «eccesso») è una figura retorica che consiste nell’esagerazione nella descrizione della realtà tramite espressioni che l’amplifichino, per eccesso o per difetto.
Iperbole femminile
Non dare ancora occasione di turbamento a questo
cuore inquieto,aggiungi ancora una piega alla mia
treccia ricciuta!
Per te nell’intimo del mio petto e’ apparso il lampo della
Manifestazione,sì che ho lasciato al sole e alla luna
l’amarezza dell’attesa.
E’ la brama di vedere Dio che ha fondato nel mondo i
riti della idolatria:l’Amore inganna l’anima piena di
speranza!
Acciocchè con animo pieno di pace io possa cantare
una nuova melodia,riconduci,deh,al suo giardino
l’Uccello del Giardino!
Mi hai concesso una eccelsa natura;sciogli ora i
vincoli dal mio piede,a che io dia via la veste d’onore
regale in cambio del tuo rozzo saio!
Se l’ascia ha colpito la pietra,che c’e’ di strano?
L’amore puo’ trascinarsi sulle spalle anche tutte
queste montagne.
Di M.IQBAL (POETA PAKISTANO DEL XX SEC)
A proposito del Ricordo di Sè…
“Mi ricordo di me nel momento in cui non mi vedo come un oggetto, quando la coscienza non lascia spazio alla divisione. E’ il momento in cui, sentendo la coscienza, sento di essere la coscienza. Sento ‘io’. Il ricordo di sé è lo shock emotivo che si verifica quando tutte le energie che sono al nostro interno entrano in contatto. Questo contatto genera una vibrazione creativa immediatamente soggetta alla ‘legge del sette’. Perciò il ricordo di sé non può rimanere statico.
Nel mio stato abituale l’esperienza è vaga e nebulosa. Sorgono pensieri, onde di emozione e tensione. I pensieri non arrivano tutti insieme, ma uno dopo l’altro. Lo stesso con le emozioni. Quando è passato un pensiero ne arriva un altro. Ma tra i due c’è un intervallo, uno stop, uno spazio estremamente importante. Dietro il movimento che è cominciato e terminato c’è una realtà che mi rimane nascosta. E’ in questo intervallo che posso diventare consapevole di cosa c’è dietro il movimento. Nessun pensiero dura; quello che appare deve poi scomparire. La sua scomparsa è importante quanto la sua comparsa, fa parte della stessa realtà. E se riesco a viverle entrambe, accettarle, sono al di là dell’apparire dello scomparire. Li contengo. In questo momento i miei centri * entrano in relazione l’uno con l’altro, una relazione che si crea da sé.
Per aprirsi al proprio essere essenziale, cioè i centri superiori, è necessario uno stato di unità. Ma nel nostro stato abituale il centro di gravità è sempre messo da parte a favore dell’ego e spostato verso la parte superiore del corpo. Questo ci separa dalla nostra vera forma. La separazione dalla nostra natura essenziale reca sofferenza. Quando questa sofferenza è forte, porta un’apertura che permette un avvicinamento verso l’unità. Ci deve essere una decisione, una determinazione a seguire la strada su cui il nostro essere essenziale ci chiama. A questo scopo è necessario un contatto perpetuo con questo essere essenziale, se vogliamo imparare a servire ed esprimere una forza che ci trascende. Dobbiamo morire a un livello, come ego, per rinascere ad un altro.
Desidero aprirmi. Sento il bisogno di rischiare la mia posizione stabilita. E sento il bisogno di silenzio, un vero silenzio, un vuoto. Allo stesso tempo vorrei prendere, avere, per continuare a vivere nel mio modo abituale. Non mi sottometto, non riconosco, non sono al servizio di nulla. Voglio servire me stesso. E devo accettare questa realtà, viverla, soffrirla, invece di cercare una via d’uscita. Risolverla oggi sarebbe una fuga, un modo di cacciar via quel che è inevitabile. Mi sento chiuso indifferente. E sento questa realtà che mi chiama, ma di cui al tempo stesso non mi fido. Non ho fiducia in essa. Voglio che mi si sottometta. Ho paura, ho paura di scomparire. Per superare questa frammentazione, questa separazione dal mio essere essenziale, tutta l’energia che è al mio interno si deve fondere. Deve essere completamente liberata. Riesco a vederne la necessità? La accetto, la desidero? Non allo scopo di avere successo, o di ricevere qualcosa di meraviglioso e di appropiarmene: piuttosto per vedere la mia nullità, il mio attaccamento, la mia paura di perdere il significato che attribuisco a me stesso. Invece di voler sempre aver ragione, vedo le mie contraddizioni. Mi accorgo di essere ipnotizzato dalla mia stessa immaginazione. Vedo tutto contemporaneamente, il mio ego e il vero ‘io’. Nel vederlo, mi libero. Libero me stesso. Per un momento non sono più lo stesso. La mia attenzione liberata, la mia coscienza, allora, sa cosa sono nell’essenza. E’ la morte dell’io ordinario. Ricordarsi di sè significa morire a sè stessi, alla menzogna della propria immaginazione,: attraverso la coscienza si ha un assaggio di comprensione della mancanza di comprensione. Nel ricordo di sè, l’abbandono dell’ego permette a una nuova coscienza di penetrare. Vedo allora che l’io ordinario è un fantasma, una proiezione di sè. Di fatto, tutto ciò che prendo per manifestazione non è qualcosa di separato, ma una proiezione dell’essenziale. Ritornando alla sorgente, divento consapevole di ciò che sorge per non cadere, di ciò che non è nato e non muore: il sé eterno.” La quarta via, o via dell’uomo astuto lavora sui tre centri principali – mentale, emotivo, motorio – contemporaneamente e si può seguire senza abbandonare la vita che si sta facendo, in quanto lo sviluppo della persona deve cominciare dall’ ambiente dove vive, incrementando un centro magnetico che porti a compiere il suo individuale cammino. Lo sforzo cosciente del ricordo di sé e della riarmonizzazione sono aiutati dalla partecipazione ad un gruppo di persone che si aiutano reciprocamente a rimanere svegli ed a seguire la strada.”
tratto da: “La Realtà dell’Essere. La quarta via di Gurdjieff”
“L’interiorità maschile” Duccio Demetrio
A tutte le donne che ci aiutano a interrogare la vita interiore , senza fare troppe domande alle nostre solitudini.
” Mi fa male che abbia un segreto tutto suo, a volte per questo non riesco a dormire, solo a pensarci, ma riuscirò a non pensarci più.” MARK TWAIN
dedica iniziale tratta dal libro: “L’interiorità maschile. Le solitudini degli uomini.” Raffaello Cortina Editore, 2010
In cosa consiste la vita interiore? Ed è davvero destituito di senso il luogo comune secondo cui gli uomini rifuggono ogni confronto con la propria interiorità? Che i maschi, nella grande maggioranza, siano poco disponibili alla riflessività, più protesi verso l’“esterno”, pare incontestabile. Evitano di porsi le domande più ineludibili, di confrontarsi con la sensibilità femminile, che include l’ascolto e la cura, temendo una crisi di immagine o di identità.
L’importanza di riscoprire il valore antico della solitudine degli uomini, condizione senza la quale non si educa la propria interiorità, è il tema di questo libro, che suggerisce come perseguire una forma di virilità più problematica e profonda, e al tempo stesso più generosa ed eroica. Duccio Demetrio insegna Filosofia dell’educazione all’Università di Milano Bicocca. Nella collana Minima ha pubblicato, tra gli altri, Filosofia del camminare (2005), La vita schiva (2007) eL’educazione non è finita (2009
Santa Brigida di Kildare
Dal sassone beraht-bert = splendido, o dall’irlandese brit = alto, forte, eccelso,Brigida deriva da Brigit o Bride, Dea della fertilità, delle scienze e delle arti. L’immagine di questa Dea celtica è spesso associata anche al fuoco, alla guarigione, alla divinazione e alla profezia. A lei è dedicata la festa della candelora che ricorre il 2 febbraio. Lo stesso giorno si festeggia Santa Brigida di Kildare, una suora missionaria omonima (Saint Brigit) vissuta tra il 450 e il 525, i cui miracoli la fecero identificare, presso il popolo, con l’antica divinità pagana. Santa Brigida, divenuta poi seconda patrona d’Irlanda, resta ancora oggi la protettrice di fabbri, poeti e guaritori e viene raffigurata nei dipinti con una fiamma sopra la testa, in ricordo dell’Antico Fuoco di Brigit. Per questo spesso questa festa viene considerata l’anello di congiunzione tra miti celtici e tradizione cristiana. Il nome è spesso citato nei libri di stregoneria, infatti durante la candelora molte streghe festeggiano Brigida che diviene signora delle luci, consacrando le candele che serviranno per i rituali magici durante l’anno. |
2 febbraio la Candelora
Febbraio deve il suo nome a FEBRUARE, che significa PURIFICARE. Purificarsi per la Candelora era sia una pratica corporale che spirituale, ossia si doveva pulire il corpo dai cibi non troppo “sani” mangiati durante l’inverno, inoltre si doveva purificare lo spirito per prepararlo alla gioia della primavera. La purificazione è in questo caso un preciso processo spirituale che risveglia nell’individuo quelle forze naturali capaci da sole, ma sotto il controllo spirituale, di operare dei veri miracoli, di ringiovanire, tonificare, ridare quella voglia di vivere senza la quale anche il corpo cade in un inesorabile declino. L’1 Febbraio è considerato il giorno in cui il Sole ritorna a vivere, la Terra torna giovane e fertile. La Candelora è celebrata anche nella tradizione pagana e neopagana, ed alcuni studiosi rilevano come si tratti di una festività introdotta appunto in sostituzione di una preesistente. Imbolc nella tradizione celtica, segnava il passaggio tra l’inverno e la primavera ovvero tra il momento di massimo buio e freddo e quello di risveglio della luce. Presso le popolazioni Celtiche del Nord Italia, e dell’Europa Occidentale l’1 Febbraio si festeggiava Imbolc (o anche Oimelc) o festa di Mezzo Inverno. La parola Imbolc in irlandese significa “in grembo”. Il suo significato più manifesto fa riferimento alla gravidanza delle pecore, cosí come Oimelc sta per “latte ovino”, a indicare che in origine si trattava di una festa legata alle pecore da latte. E’ in questo periodo, infatti, che nascevano gli agnellini, e di conseguenza le pecore producevano latte. Era un momento importantissimo, poiché per coloro che vivevano di pastorizia il latte e i suoi derivati rappresentavano spesso la differenza tra la vita e la morte per l’intera comunità. Ad un livello più profondo e simbolico la festività celebrava il ritorno della luce, che si rifletteva nell’allungamento della durata del giorno, e nella speranza per l’arrivo della Primavera, durante la quale sarebbero nati i frutti ora nel grembo della Madre Terra. Imbolc rappresentava, infatti, anche l’incontro fra il Dio e la Dea, il Cielo, il Sole e la Terra, la Luna, Brighit: la Triplice. Dopo essere discesa nel mondo sotterraneo perché vecchia, stanca, sterile e decrepita, la Dea esce dalle profondità per incontrare il Dio, innamorarsi di lui e celebrare le Nozze a Litha. Poiché Oimec rappresentava il ritorno della Luce, la tradizione prevedeva che la festa fosse celebrata accendendo lumini, candele e grandi faló rituali attorno ai quali era usanza danzare. La festa era dedicata alla dea Brighit che, in epoca Cristiana divenne Santa Brigida. Nella tradizione dell’antica Roma invece la Dea Februa era Iunio Februata (Giunone purificata), che veniva celebrata nell’Urbe alle Calende di febbraio. Quindi, la purificazione di Maria fu fatta coincidere (per sostituirsi poi del tutto o quasi) con la festa pagana dedicata a Giunone e ai Lupercali. L’usanza di benedire le candele pare invece essere di origine francese e successiva alla processione (è documentata a Roma tra IX e X sec.). La Candelora introdotta dal VI ° sec., adottando una festa della chiesa orientale che la festeggiava fin dal IV° sec.,inizialmente il 14 Febbraio, ovvero 40 giorni dopo l’Epifania ma, successivamente fu spostata al 2 Febbraio, ovvero 40 giorni dopo il Natale. Infatti commemora la presentazione di Gesù al Tempio e la purificazione di Maria. Era usanza ebraica che i bambini maschi fossero presentati e circoncisi al Tempio 40 giorni dopo la nascita, nella stessa occasione le madri erano purificate dal sangue che le aveva tenute impure dopo il parto. Si racconta che quando il bambino Gesù fu presentato al vecchio Simeone questi lo abbia chiamato“luce per illuminare le genti“. Per questo motivo, il giorno della Candelora è usanza benedire le candele e i ceri che saranno adoperati durante l’anno nelle liturgie o per le offerte in chiesa o a casa propria. La presentazione di Gesù al Tempio è il simbolo della Luce che ormai si presenta al mondo, la vittoria della luce sulle tenebre è fuori da ogni dubbio, cosí come è ormai evidente che le ore di luce aumentano di giorno in giorno. La vittoria della luce e l’approssimarsi del periodo luminoso è in questo mito sottolineata dalle parole del vecchio Simeone che rappresenta appunto l’inverno, il vecchio, il passato che annuncia il nuovo. La purificazione di Maria dopo il parto è un chiaro riferimento alla fertilità, ma anche al ritorno della madre Terra. Presso gli Ebrei, infatti, era usanza che nei 40 giorni precedenti la purificazione la madre e suo figlio vivessero isolati. La verginità di Maria, nonostante la sua maternità, rappresenta la purezza della Madre Terra che ancora non conosce dolore e brutture, non conosce il superfluo, la civetteria, la cattiveria, non conosce né il bene né il male; ella conosce solo l’amore, un amore infinito, sconcertante, terribile e meraviglioso che feconda ogni cosa, che genera ogni cosa solo esistendo. Ama poiché non conosce altro modo d’essere, non può essere diversamente. Ella non fa mai del bene a nessuno, non fa mai del male a nessuno, ella Ama, costantemente.
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