Quando il regalo sei tu
Un giorno ti svegli all’alba dei tuoi sessanta anni e ti sembra impossibile di avere accumulato così tanti mobili, buttato e ricomprato così tanti abiti, aver vissuto così tante esperienze… ti guardi indietro a tutti i compleanni passati, alle candeline che hai spento e con chi. Ti ricordi di alcuni in particolare, ti arriva il pensiero della piega che aveva la tua anima allora, della tua innocenza, e della malinconia per quello che sapevi esistesse ma stavi ancora cercando di te. Questo è il più bel regalo oggi, pensare a quei cinquantanove compleanni e sapere che la pazienza di averli vissuti tutti nella buona e cattiva sorte hanno fatto di te quello che sei oggi, accettarlo e viverlo fino in fondo per quello che sono diventata, anche quando è duro viverti dentro come fossi un cardellino, ma la vita ti chiede di tirare fuori un leone. La belva ha mangiato il cardellino, ma lui continua a vivere, è vivo e vegeto.
Hilma af Klint: cosa sappiamo di lei
Proveniente da una ricca famiglia svedese, Hilma af Klint iniziò la sua educazione artistica presso l’Istituto Tecnico di Stoccolma (oggi Konstfack), seguendo contemporaneamente anche lezioni di ritratto. Tra il 1882 e il 1887 fu allieva presso l’Accademia d’Arte. Dopo gli studi, fino al 1908, dipinse ed espose ritratti e paesaggi in stile naturalistico.In seguito abbandonò questo linguaggio tradizionale. Hilma af Klint credeva nell’esistenza di una dimensione spirituale del quotidiano e voleva rappresentarne il contesto che si trova al di là di ciò che gli occhi possono percepire. Come molti suoi contemporanei era influenzata da correnti filosofico-esoteriche, in particolare dallo spiritismo, dalla teosofia [1] e più tardi anche dall’antroposofia. Durante l’elaborazione di un quadro aveva la percezione di essere in contatto con una coscienza superiore della quale si considerava un tramite. Ricercò attraverso la sua pittura le diverse dimensioni dell’esistenza umana. Hilma af Klint lasciò più di un migliaio di dipinti e opere su carta. Durante la sua vita espose solo i primi quadri naturalistici e non mostrò mai le sue opere astratte. Nel testamento si legge che i lavori astratti dovevano essere resi pubblici non prima di venti anni dalla sua morte. Era infatti convinta che solo allora il pubblico avrebbe potuto capirne il significato. Solo nel 2018 ha iniziato a essere conosciuta in Italia, trovano la consacrazione con la mostra che è stata a lei dedicata nel 2019 dal Solomon R. Guggenheim Museum di New York.
Il potere dell’arte di esorcizzare i nostri demoni
«Non è un’immagine che cerco. Non un’idea. È un’emozione che voglio ricreare, l’emozione di volere, di dare e distruggere».
«Mi chiamo Louise Josephine Bourgeois. Sono nata il 24 Dicembre a Parigi. Tutto il mio lavoro degli ultimi cinquant’anni, tutti miei soggetti hanno tratto ispirazione dalla mia infanzia. La mia infanzia non ha mai perso la sua magia, non ha mai perso il suo mistero e non ha mai perso il suo dramma».
Louise Bourgeois è stata un artista solitaria, non legata alle mode, che ha seguito il suo percorso artistico con tenacia cercando attraverso l’arte di sopravvivere alle tensioni familiari, di poeticizzare i traumi dell’infanzia, di creare un dialogo interiore tra le sue vicende autobiografiche di cui le sue opere sono i simboli e lo spettatore che ne fruisce quasi in una reciproca catarsi.
«Un’opera può avere un’anima perché ha il potere magico di provocare una reazione nell’osservatore».
«Ho bisogno delle mie memorie. Sono i miei documenti. Li sorveglio con cura. Sono la mia intimità e ne sono immensamente gelosa».
I suoi genitori, Josephine Fauriaux e Louis Bourgeois restauravano arazzi. Il suo carattere orientato al rigore e all’ordine la orienta verso la facoltà di matematica, che abbandona dopo qualche tempo – sembrandole troppo teorica – per iscriversi all’Acadèmie des Beaux-Arts. In seguito frequenta l’Atelier di Fernand Léger, avvicinandosi alle poetiche surrealiste.
Nel 1938 si trasferisce negli Stati Uniti con il marito, lo storico dell’arte Robert Goldwater. Qui frequenta l’ambiente artistico internazionale e in particolar modo Duchamp, Le Corbusier e A. Ozefant. Nel 1945 si tiene la sua prima mostra di pittura alla Berta Schaefer Gallery di New York e nel 1947 realizza una serie di nove incisioni dal titolo He disappeared Into complete silence.
Nel 1949 mostra i primi esempi delle sue opere tridimensionali alla Peridot Gallery, abbandonando la pittura per la scultura. «I disegni sono secondi alla scultura – afferma – perché non hanno il potere di esorcizzare i demoni».
Alla sua prima mostra personale, Louise Bourgeois presenta diciassette sculture di legno dipinte: rappresentano le persone che ha lasciato in Francia nel 1938: «Non lo avrei mai ammesso, ma la verità è che mi mancavano disperatamente». Inizia così, ricreando i propri cari – figure di legno che poi dispone le une vicine alle altre, di modo che intrattengano relazioni tra loro e con lo spazio in cui si trovano – la sua lunghissima carriera di scultrice, che mette al mondo le proprie creature. Nella sua vasta opera tutte le poetiche del Novecento sono avvicinate ed elaborate.
Nel 1951 diventa cittadina americana. Negli anni Cinquanta e Sessanta sperimenta un’infinità di materiali e di ipotesi, mette in discussione le leggi della geometria, distrugge e ricostruisce, leviga e cuce – «un cesello appuntito […] consente gli estremi della tenerezza e dell’aggressività». Affronta diversi materiali: gesso, cemento, caucciù, marmo e bronzo. Tra il 1960 e il 1964 realizza una serie di formazioni in gesso esposte alla Stable Gallery di New York dal titolo Lair. Nel 1968 realizza Fillette, (Ragazzina), la scultura sospesa che tiene sotto braccio nel bellissimo ritratto scattatole da Mapplethorpe quello stesso anno; nel 1974 realizza The Destruction of the Father, un’opera cruenta e significativa che dà il titolo a una sua raccolta di scritti. Usa pezzi di carne macellata – pezzi di agnello, pezzi di pollo – che immerge nel gesso e nel lattice per rappresentare un banchetto cannibale e vendicatore. La Bourgeois spiega: «più mio padre si pavoneggiava, più noi ci sentivamo insignificanti. Improvvisamente si creava una tensione terribile, e noi lo afferravamo – mio fratello, mia sorella, mia madre e io, […] lo trascinavamo sul tavolo e gli strappavamo le gambe e le braccia – lo smembravamo. […] Fantasie, ma talvolta la fantasia è vissuto». Torna in quest’opera l’eco delle vicende vissute in famiglia. L’amatissimo padre, infatti, stabilisce una relazione speciale con la tata assunta proprio per allevare Louise e i suoi fratelli. La madre, nerbo dell’attività familiare, fa finta di niente, portando avanti un ménage familiare doloroso, soprattutto per Louise che non perdonò mai suo padre per quella rottura dell’incanto infantile.
Finalmente, nel 1982, il MoMA di New York organizza una sua grande retrospettiva consacrando Louise in campo internazionale: è la prima personale che il museo abbia mai dedicato a una donna, e il numero e la natura delle opere esposte sono impressionanti. I temi delle sue sculture sono sempre gli stessi: l’infanzia in Francia, le amanti del padre, la madre e lei bambina impegnate nel restauro di arazzi antichi, le tecniche e i materiali, gli istinti distruttivi, la sublimazione, la paura, l’essere artista, il processo di creazione, lo specchio, il ragno, l’amore e l’erotismo. Sono nati così la Femme Maison un corpo metà donna e metà casa; Lairs ovvero le tane create per un assoluto isolamento; Cells, spazi racchiusi da rete di ferro, spazi visibili ma inaccessibili dove galleggiano letti; Spiders giganteschi ragni d’acciaio installati in diverse città come il centro Pompidou di Parigi e che la stessa artista paragona alla madre, perché il ragno è un animale che va a intrappolarsi negli angoli, dove trova sicurezza. Ma lei non è intrappolata, anzi, cerca di intrappolare gli altri. «Vengo da una famiglia in cui si riparavano i tessuti. Il ragno ripara la sua tela. Se tu distruggi la sua opera, il ragno si mette all’opera e la ricostruisce»; la serie dei tredici Handkechiefs ovvero fazzoletti che fanno parte del suo corredo personale e sono stati liricamente rivisitati con disegni, cuciture, applicazioni di piccoli oggetti.
Nel 1993 Louise Bourgeois riceve, insieme a B. Nauman, il Leone d’oro alla Biennale di Venezia. Nel 2000 ha tenuto un’importante mostra antologica al museo Ermitage di San Pietroburgo.
Nel 2010 Louise Bourgeois ci lascia. A noi piace ricordarla come la donna ritratta da Robert Mapplethorpe: un volto solcato di rughe, un sorriso spiritoso, occhi vivi e pungenti, in pelliccia e sottobraccio un grosso fallo di latex, una sua scultura. Una vera novità nell’arte.
tratto da: http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/louise-bourgeois/
Uomo con la coscienza risvegliata
“Non ti preoccupare” –rispose Akhenaton- “dopo tutto queste semplici verità si trovano già dentro ogni uomo. Analogamente, parlando del Fuoco potremmo collegare quello maschile all’aspetto Osirideo e quello femminile all’aspetto Isiaco, così abbiamo i due aspetti della manifestazione di Dio nell’uomo. Per farti capire più facilmente questo concetto ti farò un esempio: in te predomina l’aspetto maschile in quanto sei un uomo, però contemporaneamente nella tua interiorità possiedi l’aspetto femminile, ossia lunare passivo. Al contrario, nelle nostre sorelle le due polarità sono invertite: nel fisico predomina l’aspetto lunare femminile, mentre nella parte interiore quello solare maschile e attivo. Tutta questa simbologia viene rappresentata come il sole e la luna, il padre e la madre. Così, ogni uomo è un padre e una madre ed ogni donna è una madre e un padre. Allora comprendi che l’uomo e la donna sono uguali. La donna con l’intervento di un uomo crea un figlio in questo piano fisico; l’uomo con l’intervento di una donna crea, su un altro piano, un figlio di Luce che non è altro che Horus stesso, figlio di Osiride ed Iside. Questo è il grande Mistero sul quale sono state fondate tutte le religioni, ed è per questo che il simbolo del Mercurio Lunare è maschile e del Cinabro Rosso o Zolfo è solare e femminile. C’è anche un terzo elemento che si chiama Sale ed è il fissatore e il cristallizzatore della materia. Adesso con questi tre elementi si può iniziare a ricostruire l’Uomo con la coscienza risvegliata!”.
tratto da: http://www.kuthumadierks.com/pageopen.asp?r=racc&id=105
…non dalla ragione ma dall’anima.
“Ebbene, lei ha percepito esattamente quello che intendevo dire quando parlavo di rischiaramento della coscienza. Molto spesso sembra solo di capire qualcosa, ma una reale comprensione non c’è. Quando una catena di conclusioni logiche della mente si allinea in uno schema coerente e si trasforma in un modello, solo allora si ha la comprensione. Ma è solo un’illusione, un’interpretazione. L’autentica penetrazione nella sostanza delle cose si ha solo quando si diventa consapevoli. Ed è una cosa completamente diversa. A differenza della comprensione, la consapevolezza viene dal di dentro, non dalla ragione ma dall’anima. Proprio questa è la chiarezza che si trasforma poi in illuminazione, in fonte di ispirazione. ”
Tratto da :”Transurfing vivo”, Vadim Zeland, Macro Edizioni, maggio 2012
Il mio mondo non solo si occupa di me ma mi lusinga e mi vizia in modo impudente
“Personalmente, da un pò di tempo ritengo che il mio angelo sia lo strato del mio mondo. Se così ho deciso, significa che così è. Non sono importanti le sembianze che l’angelo-custode assume, anche perchè, in sostanza, non ha alcuna sembianza. Il mio mondo, invece sì, di forme ne ha eccome! Il mio mondo non solo si occupa di me ma mi lusinga e mi vizia in modo impudente. Che cosa non fa per accontentarmi! E in più mi protegge. ”
Tratto da :”Transurfing vivo”, Vadim Zeland, Macro Edizioni, maggio 2012
Invece quel pomeriggio dal cielo altissimo…
“Accadde che, a Parigi per un convegno, Marco Carrera si ritrovò a pensare a Luisa. Non che in quegli anni non ci avesse pensato, ci aveva pensato eccome, praticamente ogni giorno, ma si era sempre trattato di pensieri vaghi e rasseganti su ciò che avrebbe potuto essere e non era stato, estenuati dalla lontananza e ulteriormente illanguiditi ogni estate, in agosto, quando Luisa gli ricompariva davanti, a Bolgheri sulla spiaggia, col marito e i figlioletti -prima uno, poi due- lontana, ormai, lontana ogni anno di più dalla creatura che Marco aveva adorato nel periodo più tragico della sua vita. Invece quel pomeriggio dal cielo altissimo egli pensò a lei come a qualcosa di vicino, e di possibile, e le telefonò dall’Hotel Lutetia dove era alloggiato, durante una pausa del convegno. Fece uno dei suoi scongiuri romantici, che non funzionavano mai: se il numero non è più quello, o se non mi risponde, o se mi risponde ma non può vedermi, non la chiamerò mai più. Non funzionò, perchè il numero era sempre quello, Luisa gli rispose al secondo squillo e mezz’ora dopo entrava nel bar del Lutetia dove lui le aveva proposto di raggiungerlo -entusiasmante e intatta come se provenisse direttamente dal passato. Marco non la vedeva dall’agosto precedente, ma non ci parlava per davvero dai tempi in cui avevano smesso di scriversi, prima ancora che entrasse in scena Marina….Ma è vero che se una storia d’amore non finisce, o come in questo caso nemmeno comincia, essa continuerà a perseguitare la vita dei protagonisti con il suo nulla di cose non dette, azioni non compiute, baci non dati: è vero sempre ma soprattutto fu vero per loro, poiché dopo quel pomeriggio, sulla passeggiata lungo Rue d’Assas e quell’innocente conversazione, Marco e Luisa ripresero a frequentarsi, che nel loro caso significò tornare a scriversi, spesso, appassionatamente, ottocentescamente, come era successo fino a dieci anni prima e dopo non più. E questo non era innocente, proprio per nulla, perchè ora erano entrambi sposati, avevano entrambi dei figli, dovevano mentire. ”
tratto da: “Il colibrì”, Sandro Veronesi, ed. La nave di Teseo. ottobre 2019, pg. 135, 136
All’ombra del colibrì
Non amo leggere romanzi, si può evincere dai brani delle mie letture di saggi che pubblico solamente quando ne vale assolutamente la pena, ma questo libro di Sandro Veronesi che ho iniziato nella pausa del fine settimana mi fa lo stesso effetto della lettura di “Caos Calmo” … mi dispiace consumarlo, lo mangerei avidamente come un fresco gelato estivo, ma lo centellino in questi giorni da quando l’ho acquistato, perchè non voglio terminarlo. Ne pubblicherò alcuni brani nei miei blog perchè … mi hanno colpita, mi hanno saziata come un saggio.