Trovare relazioni tra le cose…
“Dicono che la scienza ha reso impossibile la poesia. Non c’è poesia nelle automobili e nella radio. E non c’è più religione. Tutto è tumultuoso e transitorio. Pertanto, così dicono, non ci può essere relazione tra il poeta e il nostro tempo. Ma di sicuro è una stupidaggine. ……Tutto quello che ti serve ora è stare alla finestra e lasciare che il tuo senso del ritmo si apra e si chiuda, audace e libero, finchè le cose non si fondono, finchè i taxi non danzano con le giunchiglie, finchè un tutto non sarà creato da questi frammenti separati. Sto dicendo sciocchezze lo so. Quello che voglio dire è: raccogli il coraggio, sii guardingo, invoca tutto il talento che la Natura ha voluto concederti. Poi lascia che il tuo senso del ritmo si svolga e si riavvolga tra gli uomini e le donne, gli autobus,i passeri -qualsiasi cosa trovi per strada-, finchè non li abbia legati assieme in un tutto armonioso. Forse è questo il tuo compito –trovare le relazioni tra le cose che sembrano incompatibili eppure hanno una misteriosa affinità, assorbire ogni esperienza che ti passa davanti senza paura e saturarla completamente, così che la tua poesia sia un tutto, non un frammento. Ripensare la vita umana in poesia e darci così di nuovo tragedia e commedia attraverso personaggi non trattati in modo prolisso come fanno i romanzieri, ma condensati e sintetizzati come fanno i poeti -questo è ciò che vogliamo vederti fare ora.”
tratto da:”Consigli ad un aspirante scrittore”, Virginia Woolf, ed.BUR, 2012
Il godimento dell’amante…
“Sappi che, degli uomini, avrà uno stato spirituale di maggiore beatitudine nell’Aldilà colui che avrà amato di più Dio. L’Aldilà in effetti, significa avvicinarsi a Dio e percepire la felicità dell’incontro con Lui. Quanto è grande il godimento dell’amante quando si avvicina al suo Amato, e dopo averlo a lungo desiderato può finalmente contemplarlo di continuo e per l’eternità dell’eternità, senza che alcuno lo turbi o lo molesti, lo sorvegli o lo assilli, e senza paura che l’incontro possa cessare! Questo godimento è proporzionale alla forza dell’amore: tutto ciò che accresce l’amore, accresce il piacere.”
Tratto da: “L’amore di Dio”, Abu Hamid Al-Gazali, ed.EMI, 2004
Variazioni Goldberg
Le Variazioni Goldberg (BWV 988) sono un’opera per clavicembalo consistente in un’aria con trenta variazioni, composte da Johann Sebastian Bach fra il 1741 e il 1745 e pubblicate a Norimberga dall’editore Balthasar Schmid. Sono dedicate a Johann Gottlieb Goldberg, a quel tempo in servizio come maestro di cappella presso il conte von Brühl a Dresda.
L’opera è stata concepita come un’architettura modulare di 32 brani, disposti seguendo schemi matematici e simmetrie che le conferiscono tanta coesione e continuità da non avere eguali nella storia della musica. Insieme all’Arte della fuga può essere considerata il vertice delle sperimentazioni di Bach nella creazione di musica per strumenti a tastiera, sia dal punto di vista tecnico-esecutivo, sia per lo stile che combina insieme ricerche di alto livello musicali e matematiche.
La rivoluzione interiore
“Di recente mi è capitato di imbattermi in due paginette stenografate che risalgono alla mia ultima conversazione con June , un mese circa prima della sua morte avvenuta nell’estate del 1987. “Quella mattina, Jeremy, mi sono ritrovata faccia a faccia con il Maligno. Al tempo non me ne ero resa conto, ma percepivo qualcosa nella mia paura : quelle due bestie, (i cani neri), erano il frutto di un’ immaginazione depravata, di uno spirito perverso che nessuna teoria sociale è in grado di spiegare. Il Male di cui sto parlando è qualcosa che ciascuno di noi si porta dentro. Si impadronisce del singolo individuo, nel privato, nella famiglia stessa, e poi sono proprio i bambini a farne di più le spese. E poi, quando vengono a crearsi le condizioni adatte, anche in tempi diversi, si scatena una crudeltà irrefrenabile che va contro la vita e l’ uomo si sorprende della propria immensa capacità di odiare. E’ qualcosa che torna a nascondersi e aspetta. Ma ce l’ abbiamo nel cuore. Stai pensando che sono una svitata, lo vedo, ma non fa niente. Io so che è così. La natura umana, il cuore, lo spirito, l’ anima dell’ uomo, la sua stessa coscienza – chiamala come ti pare – alla fine sono le sole realtà sulle quali ci è dato di lavorare. Devono crescere, espandersi, altrimenti la nostra infelicità non diminuirà mai. In vita mia ho scoperto soltanto questo : che il cambiamento è possibile, realizzabile. Senza una rivoluzione interiore, per quanto lenta, tutti i nostri grandi progetti non hanno alcun senso. Se davvero desideriamo essere in pace gli uni con gli altri, è su noi stessi che dobbiano agire. Non sto dicendo che succederà. E’ molto più probabile il contrario. Dico solo che è la nostra unica speranza. Se dovesse verificarsi, e potrebbero volerci intere generazioni, il bene che ne verrebbe sarebbe in grado di plasmare il mondo in modo imprevedibile, sottraendolo al controllo di qualunque popolo o ideologia….”
tratto da:”Cani neri”, Ian McEwan, Einaudi, pg.163,164,1992
Le condizioni della felicità
“Quelli che non soffrono nulla non divengono nulla. La vita non servirà a mutarli e il tempo per loro fluisce come una manciata di sabbia, disperdendoli. Le condizioni della felicità sono la lotta, la costrizione e la resistenza. Se qualcosa ti si oppone e ti strazia, ti lascia crescere, ciò significa che metti le radici e ti trasformi. Benedetto il tuo tormento che ti fa crescere: poichè nell’evidenza non si dimostra e non si raggiunge nessuna verità. Quelle che ti vengono proposte non sono che un futile accomodamento, e simili a sonniferi. Sappi che ogni contraddizione insoluta, ogni contrasto inevitabile ti obbliga a crescere per assorbirlo. Se vuoi diventare grande devi lottare fino allo spasimo contro i tuoi contrasti: essi conducono innanzi tutto a Dio E’ la sola via che esista. Ed e’ per questo che la sofferenza accettata ti accrecse. L’uomo è veramente uomo se sa resistere. Altrimenti l’umanità diviene un formicaio dove Dio non è più presente, un’umanità senza lievito. L’utile è ciò che ti resiste.”
tratto dal sito “L’Arameo Errante” testo di Giovenale Nino Sassi 11/18 2008
Chicory, il volto femminile di Dio
La Cicoria selvatica o Chicorium intybus è una pianta molto ramificata che può raggiungere anche un metro di altezza. Cresce su terreni duri e campi non coltivati, ma ben esposti al sole. Il periodo di fioritura va da metà luglio a metà settembre, già per l’equinozio di autunno, 22, 23 settembre, il fiore appassisce. In questo momento dell’anno infatti i raggi del sole iniziano a perdere forza. Molto interessante scoprire il suo ritmo: i fiori si aprono intorno alle sei del mattino, verso le undici quando il sole più alto si richiudono, per poi riaprirsi il pomeriggio. Chicory fatica ad accettare il massimo del sole, non riesce a sopportarlo al suo apice. Chicory muove gli umori flemmatici, riattiva la funzione epatica (Giove) della colecisti e della milza (Saturno), ma anche mostra una grande impronta materna, lunare, nel lattice bianco del suo fusto e delle radici. L’azione di Saturno si può notare nel celeste dei fiori e nel sapore amaro delle radici e delle foglie. A livello spirituale, Chicory è l’archetipo dell’amore altruista, dell’amore materno, del donarsi senza chiedere nulla in cambio, dell’amore incondizionato. La più bella definizione che ho trovato è quella che definisce Chicory come “il volto Femminile di Dio”. E’ il polo femminile dell’Amore, la madre Terra, la Madre universale presente in ogni essere umano, sia uomo che donna. E’ l’amore senza condizioni, che nutre senza pretese e aspettative. …. Chi possiede un grande potenziale d’amore, e non lo vive, costringerà quell’energia a manifestarsi in un modo che noi, sul piano della polarità definiamo negativo. Sono dinamiche d’amore negate molto potenti e difficili da spezzare, che incatenano le persone coinvolte con un vincolo veramente forte. Le vediamo spesso agire nel legame madre-figlio, o madre figlia. … Chicory prova un sentimento di forte insoddisfazione, ha la sensazione di non essere voluta o amata veramente. Spesso per non dire sempre, c’è un’infanzia povera di amore. E’ come un buco nero, un pozzo senza fondo che non potrà mai essere riempito dall’esterno. Lotta continuamente contro la paura dell’abbandono. … Sarebbe particolarmente importante se molte persone che vivono lo stato Chicory negativo riuscissero a romperlo; immaginiamo che sostegno riceverebbe il mondo. E’ un seme particolarmente potente nella realtà, è l’archetipo della Madre Terra, colei che ci sostiene e ci nutre ogni giorno senza chiedere nulla in cambio.
tratto da: http://www.astrologiainlinea.it/
Beethoven – Egmont Overture
Egmont (op. 84) è una musica di scena scritta da Ludwig van Beethoven per l’opera omonima di Johann Wolfgang von Goethe. È stata composta fra l’ottobre 1809 e il giugno 1810 ed è stata eseguita per la prima volta il 15 giugno 1810. È costituita da una ouverture e da nove pezzi indipendenti per soprano ed orchestra sinfonica.
Soggetto dell’opera è l’eroica storia del conte di Egmont, che sacrificò la propria vita per manifestare il suo attaccamento alla patria olandese in occasione della repressione spagnola attuata dal duca d’Alba nel 1568.
L’eroismo ed il sacrificio del conte sono messi bene in rilievo dalla musica di Beethoven, che è stata elogiata da Hoffmann e da Goethe stesso.
Risorse infinite
” Ho conosciuto il maligno e scoperto Dio. Ne parlo come della mia scoperta, ma va da sé che non si tratta di niente di nuovo , né di mio appannaggio esclusivo. Ciascuno vive qualcosa di analogo prima o poi. Usiamo solo modi diversi per dirlo. Secondo me, tutte le grandi religioni nascono da singoli individui che si sono ritrovati in contatto con una realtà spirituale e che si sono sforzati in seguito di mantenere vivo quel sapere. Quasi tutto si perde in dogmi, cerimoniali e gerarchie. La religioni sono fatte così. Ma alla fine ha ben poca importanza l’esposizione del concetto se si è afferrata la verità essenziale, e cioè che dentro ognuno di noi ci sono risorse infinite, il potenziale per una condizione dell’essere superiore, un fondo di bontà…Roba del genere l’avevo già sentita, in questa o in altra forma, da un preside particolarmente ispirato o da un parroco stravagante, da una vecchia fiamma di ritorno dall’India, da bambini di Dio californiani o da figli dei fiori fuori di testa. June mi vide agitarmi irrequieto sulla sedia, ma non accennò a fermarsi. -Chiamala Dio, o spirito d’amore, o l’atman o Cristo o legge di natura. Quel che ho visto quel giorno e molti altri giorni da allora, fu l’aureola di luce colorata che circonda il mio corpo. Ma la visione è di secondaria importanza. Ciò che conta è stabilire un legame con il proprio centro interiore, con l’essere che abbiamo in noi, per poi estenderlo e approfondirlo. E portarlo fuori per donarlo agli altri. Il potere terapeutico dell’amore ….Il ricordo di ciò che accadde a quel punto non ha cessato di addolorarmi. Non potei trattenermi, il mio disagio era troppo intenso. Non ce la facevo ad ascoltare oltre. Forse gli anni di solitudine sono stati terreno fertile per il mio scetticismo, la mia difesa contro gli squilli di tromba che richiamano all’amore, alla purificazione, a liberarsi del nocciolo duro del proprio egoismo per vederlo dissolversi nel tiepido latte dell’amore e della carità universali. E’ il genere di discorso che mi fa arrossire. Quando qualcuno parla così sussulto. Non lo capisco, non ci credo. …..”
tratto da: “Cani neri”, Ian Mc Ewan, Tascabili Einaudi, pg.53
Odio gli indifferenti
Interessante su tema dell’indifferenza, due stati di consapevolezza diversi, come li propone San Ignazio e Gramsci in quest i due testi apparentemente inconciliabili, ma veri entrambi, necessari oggi per attraversare la crisi che stiamo vivendo.
“Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano. I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere. Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”
tratto da:” La città futura”, Antonio Gramsci11 febbraio 1917
Il gesuita
Ecco Ignazio nei suoi Esercizi. ” E’ perciò necessario renderci indifferenti rispetto a tutte le cose create, in tutto quello che è lasciato al nostro libero arbitrio e non gli è proibito; in modo che, da parte nostra, non vogliamo più salute che malattia, ricchezza che povertà, onore che disonore, vita lunga che breve, e così via in tutto il resto; solamente desiderando e scegliendo quello che più ci conduce al fine per cui siamo creati”. L’indifferenza gesuitica è concetto teologico vertiginoso, e spunto mistico di strabiliante bellezza e modernità. Il Cardinal Martini, Carlo Maria, era un leale oppositore del magistero ratzigeriano, e del complesso tragitto compiuto dalla chiesa di Giovanni Paolo e del suo successore, proprio in virtù di questa “indifferenza”. …. In tutto ciò che riguarda la nostra libertà, ad eccezione delle prescrizioni e proibizioni concernenti il male assoluto, si può e si deve conquistare questo campo dell’indifferenza relativista, una mentalità analitica e discreta, aperta alla variazione del tempo e alla speranza che ogni variazione e novità contiene”
tratto da: IL GESUITA, “IL FOGLIO quotidiano”, sabato 1 settembre 2012, G.Ferrara