6 gennaio: il falò dell’Epifania in Prato della Valle a Padova. Scintille verso est promessa di un buon raccolto
“La simbologia più diffusa e popolare dell’Epifania sono i falò … che rappresentano un aspetto ancora vivo degli antichi riti agrari, celebrati in appendice alle feste del solstizio d’inverno e della definitiva vittoria del sole sul gelo. Il termine pasqueta acquista un senso biblico e religioso: è la rigenerazione della vita arborea, perchè si trasmette alla terra la fertilità, attraverso il fuoco. …Nella mentalità della nostra gente, la vecia, sinonimo di strega veniva bruciata come simbolo dell’inverno e delle forze malefiche della natura e dal fuoco rinasce la veceta , che in dialetto significa fata, portatrice di doni. Per questo l’Epifania è chiamata anche la festa dela veceta, per i doni che gettava attorno al falò (mele, arance), o giù per il camino; oppure riempiendo la calza appesa al camino o gli zoccoli, posti sul focolare. Attorno al fuoco gli anziani celebravano la “magia” del fuoco. Dalla direzione del fumo e delle scintille, essi traevano i pronostici per l’imminente aprirsi del nuovo ciclo vegetativo. Per esserne certi buttavano un pugno di cenere in alto. Se la direzione era verso est la promessa era un di un fruttuoso raccolto, se verso ovest era presagio di carestia.”
tratto da:”Mondo contadino, Società e riti agrari del lunario veneto. Dino Co
Ho visto…
Ho visto un bambino camminare per strada tenendo in mano il suo telefonino, continuava a giocare a un video gioco. L’ho visto cadere e rialzarsi aiutato dai suoi genitori, che impassibili lo hanno lasciato fare due cose incompatibili tra loro. Basta prendere il telefonino e spegnerlo. Insegnare che il mondo va guardato, amato, osservato criticamente. Non serve avere paura dei nostri figli, delle loro reazioni di protesta. Dobbiamo insegnare loro ad usare la testa e le gambe.
Madonna del Prato Giovanni Bellini 1505
La Madonna del Prato è un dipinto a olio su tavola trasportata su tela (67,3×86,4 cm) di Giovanni Bellini, databile al 1505 circa e conservato nella National Gallery di Londra.
La Madonna del Belvedere (o Madonna del Prato) di Raffaello Sanzio 1506
La Madonna del Belvedere (o Madonna del Prato) è un dipinto olio su tavola (113×88 cm) di Raffaello Sanzio, datato 1506 e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna.
I Giocattoli di Natale
” A Natale viene consegnata in dono al bambino una serie di giocattoli, in grandissima maggioranza riproduzioni rimpicciolite di personaggi e strumenti del mondo reale. ” Non vi si ritrova tutta la vita in miniatura, e molto più colorata, linda e lucente della vita reale? Vi si vedono giardini, teatri, belle toelette , occhi puri come il diamante, guance accese dal belletto, pizzi deliziosi, vetture scuderie, stalle …..(Baudelaire, La morale del giocattolo). Sotto l’apparente innocenza del dono è il mondo, in simbolica miniatura, che viene offerto al bimbo, con un sacrificio propiziatorio al futuro e al passato saldati insieme nella sua minuta personcina. Se nei capodanni babilonesi venivano rovesciati i rapporti di forza, facendo passare per un giorno, lo scettro dalle mani dei padroni a quelle degli schiavi, il Natale conserva una nascosta affinità con il rituale di rovesciamento celebrato dai pagani. Natale è una giornata consacrata ai bambini, nei quali viene onorato il germoglio del futuro e la conservazione del passato. Il dono del mondo miniaturizzato è al tempo stesso un atto di sottomissione e la tentazione di un’abdicazione. Nel momento in cui sembra maggiormente disporre del mondo, il piccolo inizia ad apprendere i significati e le leggi, in una parola comincia a crescere.”
tratto da : “Infanzia”, Giuseppe Scaraffia, Sellerio editore Palermo, pg.71,72
“She Said As Well To Me” D.H.Lawrence
She said as well to me: “Why are you ashamed?
That little bit of your chest that shows between
the gap of your shirt, why cover it up?
Why shouldn’t your legs and your good strong thighs
be rough and hairy?–I’m glad they are like that.
You are shy, you silly, you silly shy thing.
Men are the shyest creatures, they never will come
out of their covers. Like any snake
slipping into its bed of dead leaves, you hurry into your clothes.
And I love you so! Straight and clean and all of a piece is the body of a man,
such an instrument, a spade, like a spear, or an oar,
such a joy to me–”
So she laid her hands and pressed them down my sides,
so that I began to wonder over myself, and what I was.
She said to me: “What an instrument, your body!
single and perfectly distinct from everything else!
What a tool in the hands of the Lord!
Only God could have brought it to its shape.
It feels as if his handgrasp, wearing you
had polished you and hollowed you,
hollowed this groove in your sides, grasped you under the breasts
and brought you to the very quick of your form,
subtler than an old, soft-worn fiddle-bow.
“When I was a child, I loved my father’s riding-whip that he used so often.
I loved to handle it, it seemed like a near part of him.
So I did his pens, and the jasper seal on his desk.
Something seemed to surge through me when I touched them.
“So it is with you, but here
The joy I feel!
God knows what I feel, but it is joy!
Look, you are clean and fine and singled out!
I admire you so, you are beautiful: this clean
sweep of your sides, this firmness, this hard mould!
I would die rather than have it injured with one scar.
I wish I could grip you like the fist of the Lord, and have you–”
So she said, and I wondered,
feeling trammelled and hurt.
It did not make me free.
Now I say to her: “No tool, no instrument, no God!
Don’t touch me and appreciate me.
It is an infamy.
You would think twice before you touched a weasel on a fence
as it lifts its straight white throat.
Your hand would not be so flig and easy.
Nor the adder we saw asleep with her head on her shoulder,
curled up in the sunshine like a princess;
when she lifted her head in delicate, startled wonder
you did not stretch forward to caress her
though she looked rarely beautiful
and a miracle as she glided delicately away, with such dignity.
And the young bull in the field, with his wrinkled, sad face,
you are afraid if he rises to his feet,
though he is all wistful and pathetic, like a monolith, arrested, static.
“Is there nothing in me to make you hesitate?
I tell you there is all these.
And why should you overlook them in me?–”
D. H. Lawrence’s poem: “She Said As Well To Me”
“Lei mi diceva proprio così”
“Lei mi diceva proprio così:”Perchè ti vergogni?
Quel pezzetto di torace che esce
dall’apertura della camicia, perchè
lo copri? Perchè non dovrebbero le tue gambe,
le tue buone forti cosce essere
ruvide, piene di peli? Io sono
contenta che siano così.
Tu sei timido, sciocco, tu sciocca
timida cosa. Gli uomini sono le più timide
delle creature, non usciranno mai dai loro
rifugi. Come un serpente che scivola nel suo
letto di foglie morte, tu ti affretti dentro
i tuoi vestiti. E a me piaci così!
Diritto e netto e tutto di un pezzo è il corpo
dell’uomo, uno strumento così, una picca,
come una spada, e come un remo, una gioia
per me!” Così lei appoggiava le sue mani
e le premeva sotto i miei fianchi
così io cominciavo a meravigliarmi
di me stesso, a chiedermi che cosa ero.
Lei mi diceva:”Che strumento il tuo corpo!
Singolo, perfettamente distinguibile
da ogni altro. Che utensile nelle mani
del Signore. Soltanto Dio poteva
portarlo al compimento della sua forma.
E’ come se la sua presa, lavorandoti
ti avesse polito e scavato, scavato
questa scanalatura nei tuoi fianchi
impugnato sotto il petto e portato
all’essenza della tua forma
più sottile che un vecchio, dolce, consumato
archetto di violino.Quando ero bambina, amavo il frustino
da cavallerizzo di mio padre, che lui
usava così spesso.
Mi piaceva tenerlo in mano, mi sembrava
come una parte vicina di lui.
Così la penna e il sigillo di dispro
sulla sua scrivania.Qualcosa
sembrava sollevarsi attraverso me
quando li toccavo.
Così è con te, ma qui ora
è gioia che sento.
dio sa cosa sento, ma è
gioia. Guarda, tu sei netto, ben fatto, unico:
io ti ammiro così, sei bello: questa netta
curva dei tuoi fianchi, questa fermezza, questa
secca modellatura
Vorrei morire piuttosto che avergli fatto
male con uno sfregio.
Desidero afferarti con un pugno
del Signore, ed averti …”
Così lei mi diceva, e io provavo
meraviglia, mi sentivo inceppato, ferito,
mi liberavo.
Ora io le dico:”Lascia andare strumenti, utensili
Dio. Non mi toccare, non dirmi più parole
di lode. E’ un’infamia.
Ci penseresti due volte prima di toccare la donnola
sul recinto, come alza la sua bianca, dritta gola.
La tua mano non sarebbe così corriva.
E al vipera che vedemmo addormentata
con la testa sulla spalla, arricciata
al sole come una principessa
quando sollevò la testa in una sua
delicata, trasalita maraviglia
tu non ti sporgesti a carezzarla
benchè apparisse di una così rara
bellezza, e fu un miracolo come dolcemente
scivolò via, con quanta dignità.
E il giovane toro del campo, con il suo muso
triste, corrugato, tu hai paura se si rizza
in piedi, benchè sia tutto pieno di desiderio
e patetico, come un monolito, sospeso, statico.
C’è niente in me che ti faccia esitare?
Io ti dico che ci sono tutte quelle creature.
Perchè te le dovresti lasciar sfuggire, in
me?”
tratto da: “Il mattino di primavera ” D.H.Laurence, Passigli poesia
Buon Natale Merry Christmas
“Onorerò sempre il Natale, e cercherò di tenerlo nel cuore tutto l’anno.Vivrò nel passato, nel presente e nel futuro. Gli spiriti di tutti e tre vivranno nel mio cuore.” C. Dikens
Le vecchie palline di vetro dell’albero di Natale
L’unico ricordo inconfondibilmente bello dei miei Natali è quello di quando avevo due anni e gattonavo sotto l’albero. Mi sembrava enorme e il suo profumo magico. Impressionante e strano avere un albero in casa per me bambina appena catapultata su questo pianeta. Mi chiedevo perchè un albero nel nostro salotto. Poi gattonando arrivavo sotto alla sua base avvolta in carta di stelle e incantata dalle mille lucine intermittenti prendevo le palline di vetro, le stringevo, mi scivolavano tra le mani e oplah…andavano in mille fragili pezzi. Correvo a nascondermi… avevo fatto fuori un’altra pallina e nessuno sapeva chi era stato.
La nascita di Cristo in sé
Jakob Böhme (Alt Seidenberg, 24 aprile 1575 – Görlitz, 17 novembre 1624) è stato un filosofo, teologo e mistico tedesco. Fu uno dei principali esponenti del misticismo moderno. Rifacendosi alle concezioni tradizionali, l’uomo è per Böhme un microcosmo, in quanto in lui, quale coronamento della creazione, stanno tutte le cose, Dio e gli angeli, il cielo e l’inferno. Ultimo nel processo creativo di Dio, egli ha il compito di risalire la corrente e tornare verso il Principio. Per fare ciò deve essere un’immagine compiuta di Dio e possedere una volontà libera. In questo però sta la grandezza unitamente al pericolo: se l’uomo volge la propria volontà verso l’esterno (le creature e il mondo), realizza in sé l’aspetto tenebroso del divino, costruendosi l’inferno per la propria anima. Se invece si distacca dalle creature e dal mondo in genere, annullando la propria visione particolaristica e la propria volontà separata per lasciare spazio alla volontà divina, in lui si realizza l’amore di Dio, la luce del Paradiso. Se l’uomo si rivolge al male, non lo fa che per ignoranza o cecità, in quanto, essendo immagine di Dio, egli non può che cercare sempre e comunque il bene. La libertà della volontà dell’uomo consente dunque di conoscere ed esperire la dolorosa lontananza da Dio. All’uomo decaduto non spetta che effettuare un cenno di rinuncia al male (essendo la presenza luminosa di Dio costante e sempre in attesa di rivelarsi): a quel punto, la volontà che passa dall’esteriore all’interiore permette la nascita di Cristo in sé. Nessuno può entrare nel regno dei cieli (che equivale a dire conoscenza spirituale di sé e gioia inenarrabile) all’infuori di colui che è rinato nello Spirito; ma nessuno può rinascere a meno che non muoia interamente rispetto alla sua volontà e cessi di essere una persona e divenga pura gioia e pura conoscenza. Però nessuno dovrebbe cercare la conoscenza spirituale allo scopo di divenire sapiente e colto, ma bisogna che si sforzi di morire entro il Cristo, cioè divenire una cosa sola con la verità divina, così che non è più lui stesso quello che vive, ma viene vissuto dalla verità. Se le proprie conoscenze non conducono alla glorificazione di Dio nel proprio intimo, sono inutili. Non si dovrebbe, secondo Böhme, desiderare di divenire qualcosa, ma, superando ogni senso di separazione e di volontà egoistica, permettere al proprio autentico Sé di manifestare il suo potere in noi, in modo da essere tutta la conoscenza, tutta la gioia, la sapienza e la gloria.
Jakob Böhme “Aurora oder Morgenröte im Aufgang”
“Non hai bisogno di chiederti dove è Dio. Ascolta uomo cieco: tu vivi in Dio e Dio in te; se vivi santamente, allora dentro di te tu stesso sei Dio”
tratto da: “Aurora”, Jakob Böhme, cap. 22 citazione in “Hegel e la tradizione ermetica”, Glenn Alexander Magee, ed. Mediterranee