Nulla di più arduo che amarsi
“Mio caro Friedrich, ho dovuto fare l’esperienza che c’è davvero nulla di più arduo che amarsi. E’ un lavoro, un lavoro a giornata, Friedrich a giornata. Com’è vero Dio, non c’è altro termine. Come se non bastasse, i giovani non sono assolutamente preparati a questa difficoltà dell’amore; di questa relazione estrema e complessa, le convenzioni hanno tentato di fare un rapporto facile e leggero, le hanno conferito l’apparenza di essere alla portata di tutti. Non è così. L’amore è una cosa difficile, più difficile di altre: negli altri conflitti, infatti, la natura stessa incita l’essere a raccogliersi, a concentrarsi con tutte le sue forze, mentre l’esaltazione dell’amore incita ad abbandonarsi completamente … Prendere l’amore sul serio, soffrirlo, impararlo come un lavoro: ecco ciò che è necessario ai giovani. La gente ha frainteso il posto dell’amore nella vita: ne ha fatto un gioco e un divertimento, perché scorgono nel gioco e nel divertimento una felicità maggiore che nel lavoro; ma non esiste felicità più grande del lavoro, e l’amore, per il fatto stesso di essere altro che lavoro. Chi ama deve cercare di comportarsi come se fosse di fronte a un grande compito: sovente restare solo, rientrare in se stesso, concentrarsi, tenersi in pugno saldamente; deve lavorare; deve diventare qualcosa!”
tratto da: “Lettera del 29 aprile 1904”, R.M.Rilke
La fusione
Chiede l’Amato: perchè, perchè dobbiamo tormentarci, e non vivere amandoci semplicemente. Perchè il duello continuo senza esclusione di colpi, ferite d’amore inferte ad un cuore fragile. Non è vanità come dice Qoèlet, non sono fastidi penosi e preoccupazioni inutili del cuore. La relazione è la via, la coscienza passa attraverso la speculazione del proprio animo e di quello dell’amato. La nel terzo cuore che si va formando, Atanor rovente dei nostri limiti e delle nostre infinite illimitate possibilità, la si compie la fusione. Raramente, ma per grazia concessa l’uno raggiunge per qualche istante l’altro, lo comprende, lo compenetra ed avviene la rara fusione. La coppia, la consapevolezza dell’uno nel due, questo è lo scopo. Il divino si è scisso, il divino si ricompone mirabilmente. Allora nulla è vanità, tutto, ogni singolo istante, assume valore e non è correre dietro al vento, ma insieme percorrere la vita, le esistenze che si succedono per la nostra consapevolezza, per ricomporre il Tutto.
Quod totum procedet ex amor
Nel XIII secolo, l’Imperatore, Federico II scrisse il trattato di falconeria “De arte venandi cum avibus” che si compone di sei libri. La prima parte tratta l’ornitologia, in seguito viene trattato il tema riguardante le specie dei falchi da caccia e di come si addestrano. Federico si valse dei consigli di esperti, soprattutto del vicino Oriente, utilizzando cio’ “che meglio sapevano”. Oltre all’apporto naturalistico alla stupefacente quantita’ di dati originali (Momin e Ghatrif), il trattato di Federico contiene anche alcune personali opinioni sull’uomo e sul suo rapporto col mondo della natura. Il falconiere ideale corrisponde “al ritratto dell’uomo completo, quale l’Imperatore lo immaginava”. Un uomo dedito solo all’arte venatoria, alla quale subordina la fame, la sete, persino il sonno. Tralasciando le indispensabili cognizioni pratiche, si esigeva che possedesse una perfetta padronanza di se’, solida intelligenza, acuta memoria, coraggio e tenacia, tutte qualita’ capaci di fare un elemento adatto anche a superiori servizi di Stato. Lo dimostra il fatto che molti grandi funzionari imperiali si esercitarono in gioventu’ al duro tirocinio della falconeria. Per il falconiere – scrisse Federico – ” ogni cosa deve nascere dall’amore che egli portera’ alla sua arte “. Un’arte, cosi’ spesso egli la definiva, che esige un perfetto esercizio, intendendo con cio’ la necessita’ e la forza di domare, con la sola superiorita’ dello spirito, gli uccelli rapaci, gli animali piu’ liberi e mobili del creato.
E’ appunto questo presupposto che rende l’arte di cacciare con gli uccelli ” nobilior et dignior “, piu’ nobile e degna di tutti gli altri metodi di caccia. Non con la forza, ma solo con la sensibilita’ e l’ingegno, l’uomo puo’ ammaestrare il rapace al punto da farlo volare libero in cerca di preda per poi liberamente tornare a posarsi sulla sua mano. ” Rapaci che temono la vista e la vicinanza dell’uomo, imparano grazie a quest’arte a fare per utile dell’uomo cio’ che fino allora facevano spontaneamente per utile proprio “. Federico si riferisce, in proposito, non solo ad una mutazione delle abitudini ma ad un vero proprio nuovo istinto: ” Nel corso del tempo, queste caratteristiche acquisite con la durezza e la costanza diventando negli uccelli una particolarita’, una consuetudine ed e’ questa la ragione per la quale la caccia col falcone acquista un significato che, secondo Federico trascende il divertimento e la maestria venatoria, per assurgere ad altezza d’arte. In proposito Federico sottolinea la frase: “Quod totum procedet ex amor” poiché tutto ciò proviene dall’amore.
tratto da:”http://www.marvel.it/falcuc/storia.htm
immagini tratte dal corteo storico della manifestazione “GIOSTRA della Rocca”, Monselice 21 settembre 2014
Selvaggia figlia di Federico II incontra lo sposo Ezzelino
Tratto dal corteo storico della manifestazione “GIOSTRA della Rocca”, Monselice 21 settembre 2014
Vicino al carpe diem oraziano?
Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re a Gerusalemme. 2Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità. Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole? Una generazione se ne va e un’altra arriva, ma la terra resta sempre la stessa. 5Il sole sorge, il sole tramonta e si affretta a tornare là dove rinasce. Il vento va verso sud e piega verso nord. Gira e va e sui suoi giri ritorna il vento. Tutti i fiumi scorrono verso il mare, eppure il mare non è mai pieno: al luogo dove i fiumi scorrono, continuano a scorrere. Tutte le parole si esauriscono e nessuno è in grado di esprimersi a fondo. Non si sazia l’occhio di guardare né l’orecchio è mai sazio di udire. Quel che è stato sarà e quel che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole. 10C’è forse qualcosa di cui si possa dire: «Ecco, questa è una novità»? Proprio questa è già avvenuta nei secoli che ci hanno preceduto. 11Nessun ricordo resta degli antichi, ma neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso quelli che verranno in seguito. Io, Qoèlet, fui re d’Israele a Gerusalemme. 13Mi sono proposto di ricercare ed esplorare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo. Questa è un’occupazione gravosa che Dio ha dato agli uomini, perché vi si affatichino. 14Ho visto tutte le opere che si fanno sotto il sole, ed ecco: tutto è vanità e un correre dietro al vento. Ciò che è storto non si può raddrizzare e quel che manca non si può contare. 16Pensavo e dicevo fra me: «Ecco, io sono cresciuto e avanzato in sapienza più di quanti regnarono prima di me a Gerusalemme. La mia mente ha curato molto la sapienza e la scienza». 17Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho capito che anche questo è un correre dietro al vento. 18Infatti: molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere aumenta il dolore. 2 1Io dicevo fra me: «Vieni, dunque, voglio metterti alla prova con la gioia. Gusta il piacere!». Ma ecco, anche questo è vanità. 2Del riso ho detto: «Follia!» e della gioia: «A che giova?». 3Ho voluto fare un’esperienza: allietare il mio corpo con il vino e così afferrare la follia, pur dedicandomi con la mente alla sapienza. Volevo scoprire se c’è qualche bene per gli uomini che essi possano realizzare sotto il cielo durante i pochi giorni della loro vita. 4Ho intrapreso grandi opere, mi sono fabbricato case, mi sono piantato vigneti. 5Mi sono fatto parchi e giardini e vi ho piantato alberi da frutto d’ogni specie; 6mi sono fatto vasche per irrigare con l’acqua quelle piantagioni in crescita. 7Ho acquistato schiavi e schiave e altri ne ho avuti nati in casa; ho posseduto anche armenti e greggi in gran numero, più di tutti i miei predecessori a Gerusalemme. 8Ho accumulato per me anche argento e oro, ricchezze di re e di province. Mi sono procurato cantori e cantatrici, insieme con molte donne, delizie degli uomini. 9Sono divenuto più ricco e più potente di tutti i miei predecessori a Gerusalemme, pur conservando la mia sapienza. 10Non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano, né ho rifiutato alcuna soddisfazione al mio cuore, che godeva d’ogni mia fatica: questa è stata la parte che ho ricavato da tutte le mie fatiche. 11Ho considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo affrontato per realizzarle. Ed ecco: tutto è vanità e un correre dietro al vento. Non c’è alcun guadagno sotto il sole. Ho considerato che cos’è la sapienza, la stoltezza e la follia: «Che cosa farà il successore del re? Quello che hanno fatto prima di lui». 13Mi sono accorto che il vantaggio della sapienza sulla stoltezza è come il vantaggio della luce sulle tenebre: 14il saggio ha gli occhi in fronte, ma lo stolto cammina nel buio. Eppure io so che un’unica sorte è riservata a tutti e due. 15Allora ho pensato: «Anche a me toccherà la sorte dello stolto! Perché allora ho cercato d’essere saggio? Dov’è il vantaggio?». E ho concluso che anche questo è vanità. 16Infatti, né del saggio né dello stolto resterà un ricordo duraturo e nei giorni futuri tutto sarà dimenticato. Allo stesso modo muoiono il saggio e lo stolto. 17Allora presi in odio la vita, perché mi era insopportabile quello che si fa sotto il sole. Tutto infatti è vanità e un correre dietro al vento. 18Ho preso in odio ogni lavoro che con fatica ho compiuto sotto il sole, perché dovrò lasciarlo al mio successore. 19E chi sa se questi sarà saggio o stolto? Eppure potrà disporre di tutto il mio lavoro, in cui ho speso fatiche e intelligenza sotto il sole. Anche questo è vanità! 20Sono giunto al punto di disperare in cuor mio per tutta la fatica che avevo sostenuto sotto il sole, 21perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male. 22Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? 23Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità! 24Non c’è di meglio per l’uomo che mangiare e bere e godersi il frutto delle sue fatiche; mi sono accorto che anche questo viene dalle mani di Dio. 25Difatti, chi può mangiare o godere senza di lui? 26Egli concede a chi gli è gradito sapienza, scienza e gioia, mentre a chi fallisce dà la pena di raccogliere e di ammassare, per darlo poi a colui che è gradito a Dio. Ma anche questo è vanità e un correre dietro al vento!
tratto da: Libro dell’Ecclesiale, cap. 1
Il seme umano
“Uomini e donne hanno nei loro corpi, come se fossero vasi, il seme umano.
Il bambino nell’utero materno riceve lo spirito (sottoforma di discesa dell’anima) al tempo stabilito da Dio.
Nel tabernacolo del corpo l’essere umano affronta i pericoli dell’inganno diabolico e combatte aspre battaglie”
Ildegarda di Bingen
“Sono l’energia suprema e fiammeggiante che trasmette fuoco a ogni vivente scintilla…sono la lucente vita dell’essenza divina; scorro splendente sui campi, brillo sulle acque, brucio nel sole, nella luna e nelle stelle…Insieme al vento ravvivo tutte le cose con energia invisibile e onnipresente…Forza che penetra fino alle più alte altezze e in tutte le profondità, che lega insieme e fa maturare tutte le cose…da lei le nubi ricevono il loro movimento, l’aria il suo volo, le pietre la loro consistenza, per lei l’acqua zampilla in ruscelli e per causa sua la terra fa nascere le piante…”
Hildegard von Bingen
L’amore e l’innocenza
“Come ho riscontrato, per cominciare una vita veramente spirituale, si comincia nella natura come un bambino. Una volta avvenuta una vera connessione con il vostro Sé inferiore – e solo in quel momento, secondo gli Kahuna – potete connettervi con il Sé superiore. Sarà Madre Terra che decide se siete pronti, e quando lei sente che lo siete, vi introdurrà a questa grande parte di voi stessi che chiamiamo Sé superiore. Nessuna forza o determinazione, nessuna richiesta , nessun pianto o autocommiserazione, vi porterà a questo. Soltanto l’amore, l’innocenza e una forte dose di pazienza vi permetteranno di trovare la vostra strada. Dovete dimenticare che state facendo dei tentativi, dovete perfino dimenticare che vi state connettendo a Madre Terra, dovete semplicemente vivere la vita con il cuore e non con la mente. La vostra mente funzionerà, ma solo sotto il controllo del cuore. ”
tratto da:”L’antico segreto del FIORE della VITA” seconda parte, Drunvalo Melchizedek, Macro edizioni, 2002
l’immagine è tratta dalla rivista tedesca SERVUS in Stadt & Land