Dello stesso autore

Mi sveglio

Mi sveglio
come ghiaccio che esplode
in una giara di acqua.

BASHO, poeta zen del XVII sec.

Il corpo si fa grazia

Exams Academy Princess Grace Montecarlo Giulia danza Fruhling

Alice attraverso lo specchio

Sento di conoscerti

Orobroy

I gemelli. Ogni cosa si definisce in base al proprio opposto, che la contiene e delimita

  • Dall’energia della Terra passiamo ora a quella dell’Aria. I Gemelli, Castore (mortale) e Polluce (immortale) ne sono il simbolo, manifestando la natura duale dell’essere umano. Due come un sé inferiore e un Sé superiore, nel corpo due mani, due occhi, due orecchi, due gambe, due braccia, due emisferi celebrali, maschio e femmina. L’alto viene messo in collegamento con il basso, il cielo con la terra, inizia il ragionamento, la catalogazione, la speculazione . Mercurio mantiene la fluidità delle forze vitali dai centri inferiori a quelli superiori. Venere pianeta governatore aiuterà in questo intento. Dal movimento incessante, dal continuo correre in tutte le direzioni sarà proficuo apprendere la lezione data dal segno opposto nello zodiaco: il Sagitario. Questo offrirà la capacità di fissare un bersaglio, di portare alla luce le potenzialità del Sé superiore e di donarle al mondo. Va diminuendo la brillantezza di Castore, perché quella di Polluce prenda il sopravvento, la potenza della vita spirituale, la diminuzione del potere del sé personale.

Sboccia alla sommità del capo

“Il loto dai mille petali che sboccia alla sommità del capo dell’Iniziato è un simbolo di grande bellezza, e si capisce che possa affascinare tutti coloro che aspirano alla realizzazione spirituale. Tuttavia, lungo e difficile è il cammino che conduce all’illuminazione e alla beatitudine.Perché possano aprirsi i petali del sacro loto, il discepolo deve trionfare su tutto ciò che in lui è fattore di disturbo. Se egli cerca di sviluppare il loto prima di aver neutralizzato gli elementi impuri che porta in sé, riceverà degli scossoni che ne strapperanno i petali. Con questa immagine si intende che il funzionamento dei suoi centri spirituali sarà disturbato, e anziché assaporare le gioie celesti egli vivrà nell’inferno. Il mondo interiore del discepolo inizia allora ad assomigliare a un giardino dove crescono piante spinose, cardi, sterpaglie, ossia i pensieri e i sentimenti cattivi che egli coltiva in sé. Quando avrà liberato dagli sterpi quel giardino, nulla lo tratterrà sul cammino ascendente della luce, ed egli percepirà allora i mille petali del loto aprirsi ad uno ad uno alla sommità del capo.”

Omraam Mikhael Aivanhov

Il loto dai mille petali

Come la rosa per l’occidente il loto è per l’oriente il più significativo e importante tra i simboli floreali ed è ricco di significati e allusioni.
Indica spiritualità, è simbolo di purezza e dell’armonia cosmica. Il loto è considerato sacro e rappresenta anche Nirvana.
Il loto, profumatissimo giglio, comincia a crescere nel fango, al fondo di un bacino idrico di acque limacciose e sboccia a splendore di sole, galleggia in superficie, la sera si richiude su sé stesso. I suoi petali e foglie non si inumidiscono e l’acqua cade giù. In India era considerato il simbolo mistico per eccellenza della “luce del cuore” proprio per il modo singolare con cui si apre alla luce. Il popolo Egizio lo considerava il simbolo dell’eloquenza, simbolo di speranza, di salvezza e di rinascita. I suoi petali venivano pertanto posti nelle parti intime delle mummie delle donne, proprio come simbolo di purificazione e di rigenerazione. Il loto, dunque, rappresenta l’auto-creazione, la nascita della terra dal caos e, nello stesso tempo, la luce e l’ordine, l’aspetto evolutivo del mondo e degli uomini. Infatti secondo l’antica cosmogonia egizia, dal bocciolo di un fiore di loto nacque Ra. Il dischiudersi del bocciolo illuminò di luce divina le acque limacciose del Nun (il Caos Informe) che si ritirarono mostrando la terra asciutta. Ra se ne compiacque e salì verso le stelle per diventarne la più luminosa ed illuminare la terra che aveva appena creato. Egli divenne Aton, il disco solare. Ora non vi era più solo Caos ed Oscurità, poichè Ra aveva portato Luce ed Ordine nel mondo. L’offerta del fiore di loto era considerata un atto sacro, per cui essa compare spesso nell’arte. Nelle scene di dipinti e rilievi si pone il loto in mano ad una donna e lo si offre poi sugli altari. Sulla tavola delle offerte vi sono tutti gli oggetti e gli alimenti indispensabili per l’aldilà, anche i fiori di loto.
Il loto era sacro anche presso i Romani che lo consideravano un simbolo di generazione e di unione e lo chiamavano “junonia rosa”, in onore a Giunone.
Presso i Greci era ritenuto il “fiore dei fiori”, nato dal sacrificio della ninfa Lotis la quale, piuttosto di cedere alle insane voglie del satiro Priapo, preferì gettarsi nelle acque del fiume. Con i suoi petali si adornavano la fronte le giovani spose e le regine.
Secondo la tradizione Induista, è il simbolo della prima manifestazione dell’essere supremo, è la porta del grembo dell’universo. Assunse le sembianze di una Dea-loto che era la grande Dea Madre adorata in vaste aree del mondo, simile ad Afrodite e Hathor. Viene spesso raffigurato come un fiore d’oro dai mille petali ed è il simbolo della grazia femminile e della fecondità. La Dea loto fu venerata anche dalla popolazione pre ariana fino a quando il suo culto non venne inglobato nella tradizione vedica. La figura di colei che tiene in mano il loto, nel buddhismo tantrico, dove le idee del buddhismo si amalgamano con quelle dell’Induismo, è una manifestazione letteraria della saggezza trascendente. Nel Brahmanesimo si immaginava che le creature divine nascessero dai fiori di loto. Nel Buddismo, il fiore di loto è simbolo di “estremo disinteresse per se stessi e dedizione al prossimo”, fondamentale negli insegnamenti di Shakyamuni. Denota nella cultura buddista, il principio femminile di ogni Buddha e Bodisattva.
Ogni varietà di loto simboleggia nel Buddhismo uno stato spirituale. Il bianco è lo stato di purezza mentale e di perfezione spirituale del Buddha. Il loto rosa rappresenta il Buddha Siddhartha Gaitama. Il rosso è il colore della compassione da parte del Buddha, l’azzurro è la sua intelligenza suprema, infatti, in questo caso il fiore viene rappresentato chiuso perchè i mortali non possono contemplarla. Quasi tutte le divinità del Buddhismo sono rappresentate sedute su fiori di loto che ne simboleggiano la totale purezza, i mille petali rappresentano la pluralità degli universi sui quali regnano le divinità raffigurate.
Il loto non cresce in Tibet. Ciò significa che nella cultura e nella religione tibetane il loto è un’acquisizione puramente simbolica che ha unito i popoli al di là e al di qua dell’Himalaya nel rappresentare la più alta visione di Purezza e di Bellezza: lo stelo del loto si erge infatti dalla melma degli stagni e dei laghi per fare sbocciare il fiore, incontaminato e incontaminabile, immacolato e perfetto, sopra la superficie dell’acqua. Il loto è l’unica pianta acquatica che grazie alla forza del suo stelo fa sbocciare il fiore con un numero di petali sempre regolare da otto a dodici, tutti uguali fra loro.
Nella loro simmetria i petali hanno sempre rappresentato il simbolo dell’armonia del cosmo; in questo senso si utilizza il loto nel tracciare mandala e yantra.
Straordinari sono i significati simbolici del loto: la melma rappresenta la sofferenza, quanto di oscuro e plumbeo vi è nel mondo, tutto quanto trattiene il nostro essere dall’acquisire quella “chiara visione” che grazie alla pratica incessante ci permetterà di elevarci sopra tutte le contaminazioni del mondo fenomenico per farlo sbocciare, radioso e immacolato, alla luce della propria consapevolezza. Il loto rappresenta la purezza di corpo, parola e mente, la vera essenza del nostro essere che è rimasta fondamentalmente immacolata malgrado il fango del mondo, essa si realizza solo alla luce della nostra consapevolezza.
Il loto a otto petali è l’equivalente della ruota del Dharma che ha otto raggi.
Nel Tantrismo i centri dell’energia vitale sono rappresentati come dei fiori di loto a più petali.

Neiye: La Coltivazione interiore

Il Neiye (La Coltivazione interiore) è un breve e splendido testo dedicato al tema della coltivazione di sé come pratica psicofisica integrale incentrata sull’energia vitale (qi), e rappresenta una delle più antiche testimonianze delle origini del taoismo (IV secolo a.C.). La sua poetica suggestione e la sua potenza di linguaggio sono paragonabili a quelle del Laozi o Daodejing, il Classico della Via e della Virtù, la fonte taoista più famosa e tradotta in Occidente e nel mondo, ma fino a poco tempo fa esso aveva ricevuto scarsa attenzione, in quanto veniva sostanzialmente percepito come uno dei tanti capitoli della composita opera in cui era stato collocato dai bibliotecari imperiali all’epoca della dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.), il Guanzi, che reca il nome di un illustre ministro dell’epoca delle Primavere e Autunni (722-481 a.C.), Guan Zhong. L’involucro in cui il Neiye era racchiuso, come una specie di greve coperchio sepolcrale, impediva un’adeguata percezione della sua straordinaria importanza. La sua riscoperta è uno dei frutti più interessanti delle ricerche sul pensiero della Cina antica che hanno avuto luogo negli ultimi decenni. L’opera si è così riconquistata piena visibilità fra gli specialisti, ma è rimasta peraltro pressoché del tutto ignota al largo pubblico, e in particolare ne mancava finora un’integrale e affidabile traduzione italiana condotta sull’originale cinese.

tratto da:http://www.ilmanifestobologna.it/wp/2015/11/la-riscoperta-di-unantica-fonte-neiye-il-tao-dellarmonia-interiore/

Fiori di campo

E’ nel seguirla che la gente può pervenire all’armonia

V.

Da sempre la Via non ha sede prestabilita;
Ma essa ha quieta dimora nel cuore valente.
Se il cuore è calmo, e l’energia vitale è ben regolata,
Allora la Via potrà permanervi.

La Via non è da noi distante,
E’ con l’acquisirla che la gente può vivere:
La Via non è da noi separata,
E’ nel seguirla che la gente può pervenire all’armonia.
Così prossima, come se vi fossimo avvinti
Così  remota, come  al di là d’ogni confine.

All’intima natura della Via
Ripugnano voce e suono.
Rendi perfetto il tuo cuore e dà quiete al tuo pensiero:
In tal modo si può conseguire la Via.

Tratto  da: “Neiye. ll Tao dell’Armonia interiore”, a cura di Amina Crisma, ed. I grandi libri dello spirito. Collana diretta da Vito Mancuso, 2015

La costanza di un processo

“Ogni tendenza di pensiero, ogni maestro ha un suo dao, un insegnamento sotto forma di enunciati la cui validità non è di ordine  meramente teorico: è una prospettiva che struttura l’esperienza nella sua totalità e nella sua integralità, e che trova in essa la sua validazione. Non è una via tracciata in precedenza, ma la sia traccia man mano che vi si procede. Nel Neiye, come nel Laozi, questa parola viene ad assumere un’ulteriore e speciale accezione: essa evoca la segreta unità del Grande Tutto come realtà dinamica, mutevole, diveniente, in cui il tutto è racchiuso, il latente e il manifesto, l’invisibile e il manifesto, l’invisibile e le infinite forme del visibile. Essa designa l’intera realtà come processualità unitaria. L’eternità che vi inerisce non è quella di un motore immobile, ma si connota, piuttosto, come costanza: la costanza di un processo, l’immutabiltà di un perpetuo divenire. Chiamare tale processualità perenne con il nome della Via, dunque, non è , propriamente, definirla: è evocare attraverso questa parola una realtà che in effetti è inneffabile, che per sua intrinseca natura si sottrae alla presa del linguaggio: Il linguaggio distingue, delimita,  differenzia, ed è dunque costitutivamente incapace di accogliere entro di sè  e di rappresentare la percezione dell’unità di tutti gli esseri, che trascende ogni limitata parola umana, e che oltrepassa qualsiasi differenziazione, qualsiasi opposizione…. L’intrinseca finitudine del linguaggio non può ospitare l’infinito, ma vi può alludere: può costantemente protendersi in un’inesausta tensione a superare i propri limiti, a misurarsi con l’indicibile, tramite audaci accostamenti dei contrari: E così la Via si configura , al contempo come invisibile e impercettibile forza, all’origine di ogni vita, e come visibile manifestazione di un ordine armonioso, di una norma sovrana che perpetuamente vi presiede; la sua singolare connotazione  consiste nell’essere  al contempo l’uno e l’altro aspetto. Quest’inesprimibile e misteriosa unità che ospita tutti i contrari non può essere racchiusa nel discorso, ma può esservi additata nella sua natura paradossale. Se da una parte è recondita  e misteriosa, d’altra parte  essa è dispiegata  sotto i nostri occhi nelle visibili manifastazioni dell’universo, nei frutti palesi del suo fertile corso. ”

Tratto da: “Neiye. ll Tao dell’Armonia interiore”, a cura di Amina Crisma, ed. I grandi libri dello spirito. Collana diretta da Vito Mancuso

Taurus

Conciliare gli opposti

“Herman Hesse diceva: “I problemi non si presentano per venire risolti, essi sono semplicemente i poli tra i quali si crea la tensione necessaria alla vita.”La soluzione si trova al di là della polarità, ma per arrivarci bisogna unificare i poli, conciliare gli opposti. Questa difficile arte di unire gli opposti riesce soltanto a chi ha imparato a conoscere entrambi i poli. Per far questo bisogna essere disposti a vivere coraggiosamente tutte le polarità e integrarle. “Solve et coaugula”, si legge negli antichi scritti: sciogli e lega. Prima dobbiamo distinguere e sperimentare la separazione e la spaccatura, poi potremo avvicinarci alle “nozze chimiche”. all’unione dei contrari. L’uomo deve prima scendere profondamente nella polarità del mondo materiale, nella corporeità,nella malattia, nel peccato e nella colpa, per trovare nella più profonda notte dell’anima e nella più cupa disperazione quella luce di comprensione che gli consente di riconoscere nella propria via di dolore e sofferenza un gioco significativo che l’ha aiutato a ritrovarsi là dove è sempre stato: nell’unità.”

tratto da:”Malattia e destino”, Thorwald Dethlefsen, edizioni mediterranee, 1987

Una nuova esperienza desiderata

“Invece di ossesionarti col pensiero di un evento stressante che temi si verifichi nel futuro e che si basa sulle esperienze del passato, lasciati ossessionare da una nuova esperienza desiderata che non hai ancora accolto emotivamente. Permetti a te stesso di vivere ora in quel potenzaile nuovo futuro, al punto che il tuo corpo inizi ad accettare o a credere di vivere nel presente le emozioni elevate di quel nuovo risultato futuro.”

tratto da: “CAMBIA L’ABITUDINE DI ESSERE TE STESSO. La fisica quantistica nella vita quotidiana”, Dr. Joe Dispensa ed. My Life, 2012

I Lived One Republic

Spero che quando spiccherai quel salto
Tu non senta la caduta
Spero che quando l’acqua salirà
Tu costruisca un muro
Spero che quando la folla griderà
Loro stiano gridando il tuo nome
Spero che se tutti correranno
Tu scegliereai di fermarti
Spero che tu ti innamori
E che ti faccia così tanto male
L’unico modo in cui puoi capire
Che hai dato via tutto quello che avevi
E spero che tu non soffra
Ma che che ti rimanga in mente il dolore
Spero che quando il momento verrà
Tu dirai
Io…
Ho fatto tutto
Io…
Ho fatto tutto
Ho posseduto ogni singolo secondo che il mondo potesse donarmi
Ho visto così tanti luoghi, le cose che ho fatto
Sì, con tutte le ossa rotte
Giuro che ho vissuto
Spero che tu trascorra i tuoi giorni
E che tutti siano positivi
E quando il sole scenderà
Spero che alzerai il calice
Oh
Vorrei essere il testimone
Di tutta la tua gioia
E di tutto il tuo dolore
Ma finché non verrà il mio momento
Io dirò
Io…
Ho fatto tutto
Io…
Ho fatto tutto

traduzione di “I Lived”   One Republic

OneRepublic – I Lived

Estia

“Estia”, Leda Guerra. In mostra dal 9 aprile al 22 maggio 2016 alla galleria Cavour,Padova