Sento soffiare con forza il vento mattutino
” Sento soffiare con forza il vento mattutino che viene dai monti. E superata ormai la notte in cui la mia vita era abbandonata alla deriva, invischiata in un eterno disordine, sospesa e tesa tra i poli infuocati. La mia anima mi parla con voce argentina: si dovrà scardinare la porta per aprire un varco tra qui e là, sì e no, sopra e sotto, sinistra e destra. Si dovranno creare passaggi ariosi tra le cose opposte e strade piane e agevoli, condurranno da un polo all’altro. Si dovrà collocare una bilancia dall’ago in lieve oscillazione. Dovrà ardere una fiamma, che il vento non possa spegnere. Un fiume dovrà scorrere fino alla sua meta più profonda. Branchi di animali selvatici dovranno andare verso i pascoli seguendo i loro antichi sentieri. D’ora in poi la vita proceda dalla nascita alla morte, dalla morte alla nascita, lineare come il percorso del sole. Tutto vada per questa strada”
tratto da: “LIBRO ROSSO, Carl Gustav Jung, ed. Bollati Boringhieri, 2010
Riflessioni sulla Nuova Era
Condivido pienamente del considerazioni di Andrea Zurlini. Grazie per questa bella analisi
Armonia delle sfere
Appartamento da Sophie Via Palermo, 1 MILANO visto FUORI SALONE 2017
Eurinome e Ofione
L’uovo cosmico
“L’uovo, la più grande cellula vivente, nella sua forma priva di spigoli, quindi senza un principio e una fine, è l’emblema della perfezione divina: «L’uovo racchiude in sé il mistero biologico dell’origine e il segreto dell’essere» [Boncompagni S., Il mondo dei simboli. Numeri, lettere e figure geometriche, Edizioni Mediterranee, Roma 1984, p. 25]. Il suo simbolismo deriva dalla sua funzione, che è quella di conservare e assicurare la permanenza della vita. Non a caso, la forma ovoidale richiama la conformazione della pancia della gestante, quindi della vita che nel grembo materno vive, cresce e si sviluppa, per poi venire al mondo.
L’uovo, nel suo fondamento sacro, è uno e trino: uno nella forma, tre nella sostanza materiale (il guscio, il tuorlo e l’albume) ed essenza sacra (nascita, morte e resurrezione). L’uovo rivela la vita come mistero e introduce il simbolismo sia della nascita sia della vita che risuscita dopo la morte.
Per quasi tutti i popoli della terra l’uovo è una raffigurazione ancestrale sacra, presente nel complesso dei miti che narrano le origini del mondo. In numerose religioni arcaiche è presente il mito dell’“uovo cosmico” che esprime l’unità primordiale, una totalità perfetta, indivisa, che precede la divisione degli elementi e la nascita dell’Universo e degli esseri viventi.
Il “parto” del mondo iniziando da un uovo è un mito comune a tutte le più importanti civiltà del passato: Celti, Egizi, Fenici, Greci, Cananei, Indù, Vietnamiti, Cinesi, Giapponesi e molte popolazioni africane. L’immagine più ricorrente è quella di un grande uovo che fluttua nelle acque primordiali e che schiudendosi crea l’universo, oppure dà vita a qualche divinità creatrice.
Secondo la mitologia egizia, il dio Ra, divinità suprema del sole, nasce da un uovo cosmico, formato dall’unione di otto divinità rappresentanti le forze del caos.
Nella mitologia cinese è presente una divinità creatrice, chiamata Pan Gu, originatasi dentro un grande uovo galleggiante nel vuoto cosmico. Quando l’uovo si dischiuse dopo diciottomila anni, il guscio diede origine alla Terra, mentre le sostanze liquide che si trovavano all’interno formarono la volta celeste.
Brahmā, l’essere divino supremo induista al servizio di altre divinità, nasce dall’uovo d’oro deposto dal cigno e con lui tutte le cose dell’universo.
Nel mito cosmogonico del taoismo cinese in origine esisteva solo il Caos che, dopo diciottomila anni, si coagulò in un uovo. Al suo interno si formarono i due principi primordiali: Yin (femminile, potenza del buio e dell’ombra) e Yang (maschile, potenza del sole e della luce). Col passare del tempo, questi si stabilizzarono, raggiungendo l’equilibrio totale. Da questo equilibrio perfetto fu generato il dio Pan Gu. Pan Gu visse nell’uovo, diventando ogni giorno più grande. Dopo diciottomila anni, ormai grande, Pan Gu ruppe l’uovo, separando lo Yin dallo Yang, il primo sprofondò formando la Terra, il secondo si innalzò creando il cielo. Pan Gu mantenne la Terra e il cielo separati ponendosi tra essi, sorreggendo il cielo al di sopra della Terra. Crescendo Pan Gu allontanò sempre più il cielo dalla Terra. Dopo altri diciottomila anni Pan Gu terminò la creazione. Infatti, nel morire si tramutò in moltissime cose: l’occhio sinistro divenne il sole e quello destro la luna; i suoi capelli e i suoi baffi divennero le stelle nel cielo; il suo respiro diede forma alle nuvole e al vento, mentre la sua voce formò il tuono; il suo sangue formò fiumi e le sue vene le strade; il suo corpo divenne roccia, montagne, piante; i parassiti del suo corpo si tramutarono in uomini e donne.
L’uovo cosmico è presente anche in India. Nella Chandogya Upanisad, uno dei testi religiosi e filosofici del corpus delle Upaniṣad vediche, è scritto: «Al principio questo universo era Non Essere. Esso divenne l’Essere. Si sviluppò. Divenne un uovo. Giacque per lo spazio di un anno. Poi si aprì. Le due metà dell’uovo erano una d’argento, l’altra d’oro. La metà d’argento è questa terra, quella d’oro è il cielo, la membrana esterna costituisce le montagne, la membrana interna le nubi e la nebbia. Le vene sono i fiumi, l’acqua della vescica è l’oceano», mentre “la parte migliore dell’uovo cosmico”, il tuorlo, è il sole. [Chandogya Upanisad 3, 19, 1-2].
Anche la cosmogonia dei Fenici si basa sull’uovo primordiale. Nella Storia fenicia di Filone Erennio (64-141 d.C. circa), traduzione in greco di un’opera di Sancuniatóne, sacerdote fenicio vissuto intorno all’anno 1.000 a.C. ai tempi di Salomone, si narra che all’inizio esisteva solo il Caos primitivo e ventoso. Dopo un lunghissimo tempo, i venti iniziarono ad accavallarsi formando una specie di nodo d’amore, dando vita a Desiderio, che precipitò nel fango acquoso chiamato Mōt. Quest’ultimo divenne il limo generatore di tutte le cose, poiché «assunse la forma di un uovo cosmico e generò gli astri e i luminari, i venti, le nubi, le acque celesti e terrestri e infine gli uomini e le donne» [Luzzatto L., Pompas R., Il significato dei colori nelle civiltà antiche, Rusconi, Milano 1988, p. 101].
Pure nei miti greci più antichi, innanzitutto nella tradizione orfica, troviamo l’“uovo del mondo”. Per l’Orfismo all’inizio esiste un’unità perfetta, l’uovo primordiale, che si scinde e dà luogo a esseri e spazi separati. Secondo la versione di questo mito offerta da Aristofane (450-388 a.C.) nella sua commedia gli Órnithes (Uccelli), ai primordi c’è il Caos, la Notte, l’Erebo (profondità dell’oscurità, inferi) e il Tartaro (il luogo più tetro degli inferi). La Notte genera nel seno di Erebo un uovo pieno di vento. Dall’uovo sorge Dionisio (identificato dagli orfici con Eros, e chiamato anche Phanes, ossia il Brillante) dalle ali d’oro, segno di ricchezza e splendore. Il Vento contenuto nell’uovo è l’inizio delle generazioni degli dei. Dionisio (Eros/Phanes) assoggetta a sé, nel Tartaro, il Caos alato, facendo di esso un uovo nel quale le cose furono unificate e armonizzate.
Nel mito dei Pelasgi, una popolazione che dimorava nel Peloponneso, in un periodo antecedente l’immigrazione in Grecia delle genti elleniche, e altri territori (tra cui Italia meridionale, Etruria, Creta, Caria in Asia Minore e così via), la creazione è descritta con più rilevanti particolari. Tutto inizia quando la dea Eurinome (che significa “colei che regna sugli spazi” o “colei che abita le ampiezze”, è la Cibele dei Frigi) emerge nuda e brillante dal Caos primordiale (l’Abisso originario). Non trovando dove poggiare i piedi, divide il cielo dal mare e comincia a danzare sulle sue onde. Avvertendo con piacere alle proprie spalle il vento del nord, decide di dare atto alla creazione. La dea afferra così il vento del nord e comincia a sfregarlo tra le sue mani finché esso prende la forma di un serpente, Ofione. Eurinome continua a danzare, attirando il desiderio di Ofione. Il serpente l’avvolge amorevolmente nelle sue spire e si accoppia con la dea, che è fecondata. Assunte le forme di una colomba, Eurinome si leva in volo sulle onde del mare. Giunto il momento, depone l’Uovo cosmico, ordinando a Ofione di arrotolarsi per sette volte intorno a esso Il serpente esegue l’ordine, permettendo all’uovo di schiudersi. Ormai aperto, l’uovo da origine al Creato, con il sole, la luna, le stelle, i pianeti, la terra e le sue creature. Per il prezioso serpente, tuttavia, è riservata una cattiva sorte. Infatti, poiché comincia a ritenersi egli stesso fondatore del Creato, piuttosto che strumento della creazione, è relegato dalla dea, incollerita per tanta superbia, a strisciare nel buio delle caverne.
Anche Sumeri, Babilonesi e Cananei (popolazione che precedette gli Ebrei in Palestina) credevano al mito dell’uovo primordiale, deposto da una colomba che sorvolava le acque primordiali. Non a caso, la colomba per gli antichi Ebrei è lo Spirito di Dio, mentre per i cristiani rappresenta lo Spirito Santo.
Il concetto di uovo come simbolo di resurrezione è antichissimo. Già nella Preistoria, la forma dell’uovo compare nelle tombe del Neolitico in Europa nella sagoma ovale dei vasi, a rappresentare il grembo della Dea dove la vita riemergerà. In molte tombe etrusche del VII-VI sec. a.C. sono stati ritrovati gusci intatti di uova che presentano un piccolo foro. Poiché queste uova erano state svuotate attraverso questo foro, si ritiene non avessero un significato di dono votivo, ma fungevano da “scrigno”, contenitore simbolico della vita nuova che viene dopo la morte.
I megaliti celtici di Roxburghshire (Scozia), che identificano la disposizione di pietre tombali, sono disposti secondo l’orma di un uovo gigantesco, con l’asse della curva minore orientato in direzione dell’equinozio di Primavera, ossia verso la “nascita” della luce.
Proprio a Primavera la Natura risorge e le ore di luce iniziano a imporsi su quelle notturne. Ora la Pasqua cristiana si celebra in Primavera, «nel momento in cui la natura esce dal suo sepolcro invernale» [Amariu C., L’uovo, trad. it. Edizioni Mediterranee, Roma 1988, p. 85].
L’uovo, quindi, passa da essere il protagonista dei miti cosmogonici, a quello della rinascita della Natura in Primavera, diventando, con l’avvento del Cristianesimo, il simbolo della resurrezione, della rinascita dell’Uomo-Figlio di Dio.
Con il Cristianesimo, infatti, tutti i simbolismi collegati all’uovo sono stati convertiti: l’uovo cosmico diventa il simbolo della rinascita del Cristo; l’uovo apotropaico dell’equinozio della Primavera, diviene l’emblema del rinnovamento dell’umanità ora cristianizzata. Ciò spiega il ritrovamento nelle catacombe romane di uova di alabastro, ad esempio nei sepolcri di santa Balbina e di santa Teodora. Per questo la simbologia dell’uovo è presente nei riti e nelle iconografie pasquali.
Una volta, la domenica di Resurrezione si chiamava “Pasqua d’uovo” e in molte cattedrali, al giovedì Santo, si deponeva nel sepolcro simulato un uovo di struzzo insieme con l’Eucarestia, ritirandolo il giorno di Pasqua. In molte chiese era usanza, dopo la recita dell’ora di Mattutino nel giorno di Pasqua, appendere uova di struzzo per ornare l’altare maggiore. Sino al XVIII secolo, nella cattedrale di Angers, in Francia, si svolgeva un dramma liturgico in cui alcune comparse raffiguranti le sante donne uscivano dal sepolcro, riprodotto come oggi si usa fare per la nascita del Cristo col presepe, con un uovo di struzzo in mano. Questo uovo era presentato dapprima al vescovo, poi a ogni membro del capitolo, utilizzando l’espressione «Surrexit Dominus, alleluia!» (Il Signore è resuscitato, alleluia!). I ministri del culto rispondevano: «Deo gratias, alleluia!».
L’uovo come simbolo della resurrezione di Cristo lo ritroviamo in una leggenda medievale. Si narra che dopo la resurrezione di Cristo, Maria Maddalena si recò al cospetto dell’imperatore Tiberio mostrandogli un uovo e annunciando la resurrezione di Cristo. L’imperatore, incredulo, rispose che era impossibile risorgere dalla morte, allo stesso modo per un uovo diventare tutto rosso. Prima che l’imperatore finisse di parlare, l’uovo della Maddalena diventò rosso.
Nella Pala di Brera (1472) di Piero della Francesca, nota anche come Sacra Conversazione con Madonna col Bambino Angeli e Santi, è presente proprio un uovo di struzzo. Infatti, particolare originale di questa opera d’arte è la forma della semicupola del catino absidale, a forma di conchiglia, dal quale pende un uovo di struzzo. Quest’ultimo, oltre a essere emblema dei Montefeltro, famiglia alla quale apparteneva il duca Federico, committente del dipinto, probabilmente allude al concetto di resurrezione e vita eterna del “bambinello” adagiato tra le braccia della Madonna. Molte uova di struzzo sono state ritrovate i quasi tutti i tesori delle chiese medievali.
L’usanza di scambiarsi uova a Pasqua o durante l’equinozio di Primavera sembra sia sempre esistita. All’arrivo della Primavera sono collegate molte usanze legate al dono reciproco di un uovo: Romani, Babilonesi, Persiani, Cinesi e altri popoli celebravano l’arrivo della Primavera proprio scambiandosi uova, sinonimo di auguri e buoni auspici.
Nel Medioevo cristiano era usanza pasquale donare uova vere benedette, questo perché, mangiando quelle uova consacrate, il fedele può partecipare alla grazia della Risurrezione. Più tardi si diffuse tra la nobiltà scambiarsi uova d’argento o d’oro, abbellite di gemme, perle e smalti.
Nel 1290, re Edoardo d’Inghilterra commissionò 450 uova da impreziosire con lamine d’oro per donarle ai membri della sua corte. Luigi XIV di Francia inaugurò la tradizione di far decorare riccamente le uova di struzzo dello zoo di Versailles per donarle alla sua corte. Tuttavia l’insufficienza di uova vere portò alla loro sostituzione con uova d’oro, di avorio e di porcellana. Nel Settecento re Luigi XV commissionò per Madame du Barry un grande uovo decorato che conteneva una statuina di Cupido creata dall’orafo di corte.
Le uova più famose e più preziose sono certamente quelle del maestro orafo russo Peter Carl Fabergé, che nel 1883 ricevette dallo zar Alessandro la commissione per la creazione di un dono pasquale per la zarina Maria. Egli ispirandosi alle pysanky russe, uova con scritte e disegni realizzati in casa, da far benedire in chiesa e poi regalare, e al sistema delle matrioske, creò un uovo di colore bianco con smalto opaco, al cui interno posizionò un tuorlo d’oro, contenente a sua volta una gallinella dorata con occhi di rubino; questa a sua volta racchiudeva una copia in miniatura della corona imperiale contenente un piccolo rubino a forma d’uovo. Il regalo sorprese la corte imperiale, così lo zar ordinò a Fabergé un uovo speciale e unico per ogni Pasqua. Fabergé ne creò cinquantanove, cinquantadue per lo zar e sette per il nobiluomo russo Alexander Ferdinandovich Kelch, tutte opere uniche e originali.”
tratto da http://www.storiain.net/storia/dalluovo-del-mondo-alluovo-pasquale/
L’Uovo
Richard Ginori, Piazza S. Marco, 3, 20121 Milano
Gabbia dorata per muschio
Gioielli ideati dall’architetto Clelia Stincheddu e dalla designer Giulietta Piccioli, Jewerly Green. Visto al FUORI SALONE Milano 2017 per informazioni vedi sito ww.jewelrygreen.it/filosofia.html
Colui che ricerca fra le sue diverse personalità la più vera
“Colui che ricerca fra le sue diverse personalità la più vera, la più forte, la più profonda, deve ad ogni costo scorrere con ogni cura la lista e cavarne fuori quella su cui si sente di poter rischiare la propria sicurezza. Tutte le altre personalità divengono in tal momento non reali; solo la sorte di quell’unico Io si fa reale. Gli errori di esso sono reali, i suoi trionfi sono trionfi reali, e portano inevitabilmente con sé la vergogna o la soddisfazione. È questo un esempio di quell’attività selettiva della mente (…) Il nostro pensiero continuamente occupato a decidere quali, fra molte cose, dovranno divenire realtà per lui, sceglie definitivamente uno dei tanti Io, o caratteri possibili, e, d’allora in poi, non si vergognerà di mostrarsi deficiente in qualunque di quelli che non avrà adottato come suoi propri (…) Non vi è tentativo, non vi può quindi essere insuccesso; non essendovi insuccesso, non vi può essere umiliazione. Così il sentimento di noi in questo mondo dipende interamente da ciò che ci contentiamo di essere e di fare. Esso è determinato dal rapporto fra ciò che siamo e ciò che supponiamo di poter essere.”
tratto da : “Principi di Psicologia” (The Principles of Psychology), William James, 2 vols. 1890
La natura vive in un gioiello
Gioielli ideati dall’architetto Clelia Stincheddu e dalla designer Giulietta Piccioli, Jewerly Green. Visto al FUORI SALONE Milano 2017
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Impermanenza
distruzione finale di un mandala
मण्डल, Mandala promanazione dell’UNO
Màndala (sanscrito maṇḍala (मण्डल), letteralmente: «essenza» (maṇḍa) + «possedere» o «contenere» (la); tradotto anche come «cerchio-circonferenza» o «ciclo», entrambi i significati derivanti dal termine tibetanodkyil khor) è un termine simbolico associato alla cultura veda e in particolar modo alla raccolta di inni o libri chiamata Rig Veda. La parola è utilizzata, anche, per indicare un diagramma circolare costituito, di base, dall’associazione di diverse figure geometriche[1], le più usate delle quali sono il punto, il triangolo, il cerchio e il quadrato. Il disegno riveste un significato spirituale e rituale sia nel Buddhismo sia nell’Induismo. Legato alla “legge del Centro”, dove i cicli, siano essi pertinenti alla vita o alla morte, allo spazio,tempo, forze visibili, invisibili, sono tenuti assieme in modelli concentrici, dove il centro è identificato come il centro del potere, della saggezza, della vita. Il centro è il senza nome, è il più antico, che continuamente riversa la sua energia verso l’esterno, ed è autorigenerante. Il mandala è un simbolo spirituale e rituale che rappresenta l’universo. Non solo una forma d’arte, i mandala sono usati in numerose tradizioni spirituali, ma soprattutto nell’Induismo e nel Buddismo, per focalizzare l’attenzione, per definire uno spazio sacro e per aiutare la meditazione. Nella tradizione buddista i mandala vengono disegnati con sabbie colorate e poi distrutti, a simboleggiare l’impermanenza del mondo materiale. Oggi il termine mandala è molto conosciuto anche in Occidente ed è entrato nell’uso comune per indicare motivi geometrici, diagrammi e disegni circolari che rappresentano simbolicamente un microcosmo dell’universo, usati in vari ambiti (dalle pratiche spirituali alla psicologia) per ritrovare calma, equilibrio e pace e, in ultimo, aumentare la consapevolezza di sé. Proseguiamo con l’etimologia, fondamentale per capire come mai si usi una parola per esprimere un certo concetto. Màndala può tradursi con “cerchio” o “centro” e, come cerchio, è una rappresentazione essenziale, geometrica del mondo e del cosmo: si può quindi dire che un mandala è un “cosmogramma”. Solitamente nel mandala c’è una “cintura” esterna e uno o più cerchi concentrici, contenenti un quadrato suddiviso in quattro triangoli: al centro di ogni triangolo (e anche al centro del mandala) ci sono altri cerchi, contenenti figure di divinità. A volte un mandala ha una struttura labirintica, o è disegnato come un palazzo con le sue torri; possono esserci disegni floreali o strutture ripetitive (come i cristalli). Simbolicamente, la “cintura” esterna del mandala è una sorta di “barriera di fuoco” (la coscienza metafisica) che brucia l’ignoranza; la “cintura” successiva simboleggia l’illuminazione, poi una “cintura” di foglie evoca la rinascita spirituale; al centro di quest’ultimo cerchio si trova il vero mandala (palazzo) con le immagini degli dèi. All’estrema periferia di tutto il disegno ci sono quattro porte difese da “guardiani” protettori della coscienza. Meditando sul mandala, il discepolo rivive l’eterno processo della creazione-distruzione-creazione periodica dei mondi; penetra così nei ritmi del tempo cosmico e, spezzando le catene del samsara (la vita terrena, il mondo materiale), approda a un piano trascendente.
Per capire davvero un mandala non si può prescindere dal vederlo formarsi sotto le abili mani dei monaci buddisti che lo creano con sabbie colorate: tramite cannucce dorate fanno cadere, negli appositi spazi precedentemente disegnati, i vari colori che comporranno l’immagine finale. La sabbia colorata scende grazie al perfetto, ripetitivo movimento della mano del monaco, che fa vibrare la cannuccia conica causando la fuoriuscita della sabbia. Le cannucce sono di diverse dimensioni, per fare segni più o meno sottili, proprio come i pennelli di un pittore o i pennini di un calligrafo. Per completare un mandala di sabbia possono volerci giorni interi, durante i quali l’ipnotico rumore dello sfregamento sulle cannucce accompagna una sorta di meditazione cui tutti possono assistere. Inevitabilmente, qualunque sia la preziosità e la grandezza del lavoro e il tempo che c’è voluto per realizzarlo, il màndala sarà distrutto con una cerimonia finale, le sabbie saranno tutte rimescolate e gettate in un corso d’acqua.
Da sempre utilizzati da guide spirituali, sciamani e guaritori come strumento di meditazione e fonte di saggezza. Il mandala rappresenta una immagine simbolica in cui convivono due forme geometriche fondamentali: il quadrato che indica l’armonia da raggiungere nel mondo materiale, al fine di poter poi conseguire la perfezione spirituale rappresentata dal cerchio. In arteterapia, in contesti di counseling ed art-counseling, il mandala può essere utile come forma di autoesplorazione ed autorappresentazione.
Fare un mandala con tecniche varie aiuta a ritrovarci nel “qui ed ora” dell’esperienza, a ritrovare un equilibrio in un particolare momento o passaggio della nostra vita. Il Mandala è un’immagine di noi stessi che tramite la sua realizzazione è in grado di aumentare il nostro grado di coscienza e consapevolezza. Durante la sua realizzazione, gli aspetti frammentari dell’identità si ricompongono.
Ecco perché, in particolare con soggetti con disturbi dissociativi, l’utilizzo costante dei Mandala, come sostegno al percorso psicoterapeutico, ha un effetto molto proficuo. A volte, soprattutto se usati per scopi terapeutici, vengono date indicazioni sul significato, sui colori consigliati e su come procedere alla colorazione. In campo medico si è fatto uso terapeutico del Mandala nel trattamento del cancro; esso infatti rappresenta una via al ritrovamento dell’ordine e dell’energia, aspetti che si tendono a perdere quando si è malati.
liberamente tratto da un testo di Cinzia Picchioni, si può visionare nella sua versione integrale al link: http://www.leviedeldharma.it/cosa-sono-i-mandala/ e da http://www.lifeme.it/2016/11/il-mandala-significato-meditazione-colorare-.html
L’Uno respirava, senza respiro
“Inno della Creazione” (Rig Veda X.129)
In quel momento non vi era né l’esistente, né il non-esistente.
Non vi era aria, né il cielo che è al di là.
Che cosa conteneva? Dove? Chi proteggeva?
C’era l’acqua, insondabile, profonda?In quel momento non vi era né la morte né l’immortalità.
Non vi era segno della notte, né nel giorno.
L’Uno respirava, senza respiro, con il suo stesso potere.
Oltre a quello non vi era nient’altro.In principio vi era oscurità nascosta da oscurità;
indistinguibile, tutto questo era acqua.
Ciò che era nascosto dal vuoto, l’Uno, venendo in essere,
sorse attraverso il potere dell’ardore.
In principio il desiderio venne prima di tutto,
che fu il primo seme della mente.
I saggi che cercavano nei loro cuori con saggezza
scoprirono il legame dell’esistente con il non-esistente.
La loro corda fu estesa attraverso:
che cosa c’era al di sotto e che cosa c’era al di sopra?
C’erano portatori di semi, c’erano poteri;
vi era energia al di sotto, e impulso al di sopra.
Chi lo sa veramente? Chi può qui dichiarare
da dove è stata prodotta, da dove viene la creazione?
Dalla creazione di questo universo gli Dei vennero successivamente:
chi allora sa da dove ciò è sorto?
Da dove questa creazione sia sorta,
se lui l’ha fondata oppure no:
lui che la sorveglia nel più alto dei cieli,
lui solo lo sa, o forse non lo sa.
“Inno della Creazione” (Rig Veda X.129)