noia creatrice
«Se si vuole essere creativi, bisogna recuperare una certa dose di noia creatrice che era propria dell’otium (1). È solo quando vi sono le condizioni e il tempo di riflettere, recuperando il taedium vitae (2) – che per Seneca eral’opportunità di “frequentare se stessi” (secum morari) (3) – che possono rivelarsi intuizioni preziose, soluzioni impreviste. Così il cervello ha l’opportunità di “creare”. Verbo affascinante, che apre spiragli straordinari, connessi alla capacità umana di immaginare; verbo tanto inquietante da essere censurato in certe comunità, poiché di pertinenza esclusiva del divino. Eppure squisitamente umano: saper creare è una qualità che appartiene a tutti e puòrivelarsi in relazione alle capacità individuali e all’occasionalità».
(1) Inazione, riposo dall’attività e dagli affari. Libero e piacevole uso delle proprie forze, soprattutto spirituali.(2) Atteggiamento spirituale di sconforto nei confronti della vita.
(3) Dimorare con se stessi, avere il coraggio di intrattenersi con i propri pensieri.
noia creatrice, “La lettura” – Corriere della Sera, 1 ottobre 2017, pp. 6/7
tratto dalla traccia dell’esame di Stato giugno 2018
1695
Ha una sua solitudine lo spazio, solitudine il mare
e solitudine la morte – eppure tutte queste son folla
in confronto a quel punto più profondo,
segretezza polare
[…] che è un’anima al cospetto di se stessa –
Emily DICKINSON, Tutte le poesie, a cura di M. Bulgheroni, Mondadori, Milano 1997 (prima ed. originale 1914)
Universo parallelo
foto di Kristine Beekman (clicca con il mouse sul titolo per ingrandire la foto)
Principio
tratto d: “Civiltà della Dea” Marija Gimbutas
Nessuno dei due principi è subordinato all’altro
“Il compito di sostenere la vita era il motivo dominante nell’immaginario mitico dell’Antica Europa, per cui la rigenerazione era una delle manifestazioni più importanti. Naturalmente la Dea che era responsabile della trasformazione dalla morte alla vita diventava la figura centrale del pantheon degli dei. Lei, la Grande Dea, era associata al crescente lunare, a disegni quadripartiti e corna taurine, simboli di creazione e di cambiamento incessanti. La misteriosa trasformazione è espressa molto vividamente nella sua epifania in forma di bruco, crisalide e farfalla. Infatti attraverso questo simbolismo il nostro antenato proclamava di credere nella bellezza della vita giovane. L’ubiquità dei simboli fallici designa la glorificazione dei poteri della vita spontanea. Il fallicismo è privo di qualunque allusione oscena; nel contesto del rito religioso, è una forma di catarsi, non di procreazione simbolica. Non ci sono prove che in epoca neolitica l’umanità comprendesse il concepimento biologico. Con l’avvento dell’agricoltura, il contadino comincia a osservare i fenomeni della Terra miracolosa più da vicino e più intensamente di quanto non avesse fatto il cacciatore-pescatore che lo aveva preceduto. Emerge una divinità a sé stante, la Dea della vegetazione, un simbolo della natura sacrale del seme e del campo seminato, i cui legami con la Grande Dea sono intimi. In modo significativo quasi tutte le dee neolitiche sono immagini complesse in cui si sovrappongono tratti provenienti da epoche preagricole e agricole: Uccello acquatico, cervo, orso, pesce, serpente, rospo, tartaruga concetto di ibridazione animale-uomo vengono ereditati dall’epoca paleolitica e continuano a servire come personificazione delle dee e degli dei. Non sono mai esistiti una religione o un immaginario mitico creati nuovi di zecca dagli agricoltori all’inizio dell’epoca della produzione di cibo. Nell’antica Europa il mondo del mito non era polarizzato in femminile e maschile come come presso gli Indoeuropei e molti altri popoli nomadi e pastori delle steppe. Entrambi i principi si manifestavano uno accanto all’altro. La divinità maschile in forma di giovane uomo o animale di sesso maschile compare per affermare e rafforzare le forze del femminile creativo e attivo. Nessuno dei due principi è subordinato all’altro; completandosi, il loro potere raddoppia. Il tema centrale della riproduzione dei miti ovviamente è la celebrazione della nascita di un bambino. La nuova creatura è simbolo di nuova vita, e la speranza di sopravvivenza è alimentata da dee mascherate da Serpente, Uccello e Orsa. Nutrici mascherate che indossano una sacca (statuine con la “gobba”) sembrano aver svolto un ruolo di protettrici della creatura che più avanti cresce e diventa giovane divinità. Il Dio maschile, il Dionisio delle origini, è saturo di un significato strettamente legato a quello di una Grande Dea nel suo aspetto di Dea della natura vergine e Dea della vegetazione. Sono divinità del ciclo vitale naturale, preoccupate del problema della morte e della rigenerazione, ed erano tutte venerate come simboli di vita esuberante. Il pantheon riflette una società dominata dalla madre. Il ruolo della donna non è soggetto all’uomo, e tutto quello che è stato creato con l’avvento del Neolitico e con la fioritura della civiltà minoica è il risultato di una struttura in cui tutte le risorse della natura umana, femminile e maschile, vengono utilizzate nel pieno potenziale della forza creativa. “
tratto da: “Le Dee e gli Dei dell’Antica Europa. 6500-3500 a.c. Miti e immagini del culto”, Marija Gimbutas, traduzione e cura di Mariagrazia Pelaia. edizione italiana Stampa Alternativa/ Banda aperta, 2016. Edizione originale “The Goddesses and Gods of Old Europe” 1974, 1982 Thames &Hudson Ltd London
Il serpe eterno annodando i principi
P R O L O G O
L’antro de L’eternità.
La natura, L’eternità, Il destino.
LA NATURA Alme pure, e volanti, che dal giro, che forma il serpe eterno annodando i principi, uscir dovete, scese, giuste sedete, fatte aurighe, al governo de corpi misti, e post’il freno al senso, i spazi della vita correte illustri, acciò virtù sul dorso qui vi ritorni, terminato il corso.
L’ETERNITÀ Chi qua sale immortale vive vita infinita, divinizza la Natura. Ma sassosa faticosa è la via, che qui invia, è la strada alpestra, e dura.
tratto da: La CALISTO. Dramma per musica. testi di Giovanni Faustini musiche di Francesco Cavalli 1651
HIER IST ES SCHON
opera di Othmar Prenner gente di montagna. Fuori Salone, 22. Aprile 2018 via Palermo 8 (Zona Brera) Milano +49.1727469516
Tsepak May … God of long life
18 aprile 2018 Lama Geishe Tsering Tashi esegue il mandala Tsepak May … God of long life presso il centro “I Sentieri del Vento”, Via Santa Marta, 19, 20123 Milano Telefono: 02 7202 3205
Veni Sancte Spiritus
Veni, Sancte Spíritus,
et emítte cǽlitus
lucis tuæ rádium.
Veni, pater páuperum,
veni, dator múnerum,
veni, lumen córdium.
Consolátor óptime,
dulcis hospes ánimæ,
dulce refrigérium.
In labóre réquies,
in æstu tempéries,
in fletu solácium.
O lux beatíssima,
reple cordis íntima
tuórum fidélium.
Sine tuo númine,
nihil est in hómine
nihil est innóxium.
Lava quod est sórdidum,
riga quod est áridum,
sana quod est sáucium.
Flecte quod est rígidum,
fove quod est frígidum,
rege quod est dévium.
Da tuis fidélibus,
in te confidéntibus,
sacrum septenárium.
Da virtútis méritum,
da salútis éxitum,
da perénne gáudium.
Amen.
Vieni, Santo Spirito,
mandaci dal cielo
un raggio della tua luce.
Vieni, padre dei poveri,
vieni, datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto,
ospite dolce dell’anima,
soave refrigerio.
Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto.
O luce beatissima,
invadi nel profondo
il cuore dei tuoi fedeli.
Senza il tuo soccorso,
nulla è nell’uomo,
nulla senza colpa.
Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
raddrizza ciò ch’è sviato.
Dona ai tuoi fedeli
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna.
Amen.
Quando tutte le forze sono consumate
” Nel testo della Weil (Simone Weil “L’Iliade o il poema della forza” Cahier du Sud 1943) troviamo la descrizione degli aspetti essenziali della lotta, direi di qualsiasi lotta, con tutte le sue conseguenze, tanto per i vinti quanto per i vincitori. La vittoria, nella descrizione che se ne fa, non è che un momento ancora del tutto interno alla lotta e non rappresenta affatto l’estinzione della guerra: essa rimane sempre viva nei cuori degli uomini fino al momento in cui non sorge in essi il riconoscimento pieno della condizione dell’altro attraverso il pieno riconoscimento di sé. Ma questo momento giunge quando tutte le forze sono consumate, tutto ciò che doveva essere distrutto è stato distrutto e non resta che il rimpianto per quanto si è perduto. Un rimpianto tanto più lacerante quanto più si sono persi di vista i motivi di tutta quella distruzione. In questo momento entrano in gioco elementi che indeboliscono qualsiasi visione eroica. Perfino Achille di fronte al ricordo dell’amico perduto, richiamatogli alla memoria dalle suppliche di Priamo per la perdita del figlio Ettore, si intenerisce, viene afferrato dal rimpianto e dall’amarezza che fanno da argine alla sua tracotanza sempre pronta ad esplodere. Non ulteriore sintesi e dominio, bensì fraternità, tenerezza e amarezza sono fattori della vita che entrano in scena quando la consapevolezza di essere stati inchiodati dal destino riduce in cenere il delirio di potenza. Solo quando si rendono conto, con un’intuizione lacerante, di essere entrambi assoggettati allo stesso processo di pietrificazione, possono raggiungere quell’amore puro, il più puro che si dia da sperimentare all’uomo e che, come sostiene la Weil, semplicemente rende possibile la vita dell’uomo. Questo atto di riconoscimento è quanto di più delicato e misterioso ci sia, quasi non è nelle mani dell’uomo e qualora venisse offerto unilateralmente da una delle due parti in conflitto, non verrebbe raccolto e anzi suonerebbe come una maggiore offesa e un ulteriore atto di dominazione e sopraffazione. Paradossalmente proprio questo rende necessaria la dismisura, il portare l’avversario nella zona morta delle cose senza più possibilità di movimento alcuno. In questo sta la possibilità della poesia di rendere bella perfino la distruzione”
tratto da: testo di introduzione a “L’Iliade o il poema della forza”Simone Weil , Cahier du Sud 1943 testo di Alessandro di Grazia 2012,Asterios editore
Mi chiedo perché l’altro sia così
” Per formularlo ora in modo molto crudo -il che farà probabilmente male alla mia penna stilografica: se un uomo delle SS dovesse prendermi a calci fino alla morte, io alzerei ancora gli occhi per guardarlo in viso, e mi chiederei, con espressione di sbalordimento misto a paura, e per puro interesse nei confronti dell’umanità: Mio Dio, ragazzo, che cosa mai ti è capitato nella vita di tanto terribile da spingerti a simili azioni? Quando qualcuno mi rivolge parole di odio – e questo, in ogni caso non succede spesso – non provo mai la tentazione di rispondere con odio, ma sprofondo improvvisamente nell’altro, in una sorta di disorientamento doloroso e al contempo interrogatorio, e mi chiedo perché l’altro sia così, dimenticando me stessa. Per questo sembro inerme e timida, ma non penso proprio di esserlo: so maledettamente bene come come misurare le parole dell’altro e di volta in volta me ne faccio un’idea, ma in genere non ritengo molto importante farmi valere immediatamente. ”
tratto da: “DIARIO. 1941-1942.”Edizione integrale, Etty Hillesum, Adelphi, 2012
Ricordo di un dolore
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Ricordo di un dolore (Ritratto di Santina Negri), 1889 Olio su tela, cm 107 x 81
Stati d’animo. Arte e psiche tra Previati e Boccioni
Ferrara, Palazzo dei Diamanti
3 marzo – 10 giugno 2018
Mostra a cura di Chiara Vorrasi, Fernando Mazzocca e Maria Grazia Messina
Organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara
Informazioni e prenotazioni
tel. 0532 244949 |
www.palazzodiamanti.it
Bergamo, Accademia Carrara