La “Pioggia nel pineto” è una lirica composta fra luglio e agosto 1902 dal poeta Gabriele D’Annunzio nella celebre Villa La Versiliana dove abitava immerso nel verde della pineta della Villa a Marina di Pietrasanta in Toscana.
Quest’opera appartiene all’Alcyone, una raccolta di poesie del D’Annunzio scritte tra il 1902 e il 1912.
La poesia è composta da 128 versi divisi in quattro strofe di 32 versi ciascuna.
I versi sono totalmente liberi, ossia non rispettano un preordinato numero di sillabe, tuttavia è stato notato che ricorrono spesso i ritmi ternario (tre sillabe), il senario (sei sillabe) e il novenario (nove sillabe). I versi sono anche sciolti, perché non seguono uno schema metrico fisso di rime, anche se esse sono presenti, nelle loro diverse tipologie. Il poeta dà un’immagine raffinatissima e suggestiva di un’atmosfera naturale espressa con una struttura frammentaria dei versi e con la ripetizione di parole e di frasi e dal susseguirsi di sensazioni uditive, visive, olfattive, tattili, ritmate dal ripetersi di due verbi chiave, “piove” e “ascolta”, in cui però le sensazioni uditive prevalgono sulle altre. La poesia, infatti, è una sinfonia musicale perché il poeta sceglie le parole non tanto per il loro significato quanto per il loro suono (caratteristica tipica del decadentismo e di D’Annunzio in particolare), per creare la suggestione di una musica. Le strategie tecniche che utilizza per creare musicalità e suggestione sono varie e diversificate e il linguaggio risulta molto ricercato e raffinato. Il Taci iniziale della poesia è un invito a creare l’atmosfera di silenzio e di ascolto e, attraverso questa onomatopea, le cose, viste o toccate sono ricondotte essenzialmente al loro suono. Il poeta si trova a Marina di Pisa con Ermione, la sua donna amata e, mentre passeggiano in una deserta pineta vicino al mare, li sorprende un fresco temporale estivo.
Le gocce, cadendo leggere sui rami e sulle foglie, creano una musica magica e orchestrale, destando odori e vita segreta nel bosco. I due amanti si inoltrano sempre più nel fitto della vegetazione e, così circondati, coinvolti e immersi da una sinfonia di suoni, profumi e sensazioni sprigionati dalla pioggia, si sentono parte viva della natura che li circonda, fino ad immedesimarsi con essa stessa e a trasformarsi in creature vegetali.
Questa trasformazione inizia nella seconda strofa, ai versi 52-61, dove il poeta paragona il volto di Ermione a una foglia e i suoi capelli a una ginestra e si compie nell’ultima strofa, a partire dal verso 97, dove D’Annunzio definisce Ermione non bianca ma quasi fatta virente, cioè verde, come una pianta, e ne paragona i vari elementi del corpo ad altrettanti elementi naturali: il cuore alla pesca, gli occhi alle polle (pozzanghere) d’acqua, i denti alle mandorle.
Questa meravigliosa trasformazione, questa immersione totale del poeta e di Ermione nel paesaggio naturale che li circonda è la “favola bella”. Una favola perché si tratta di un’illusione momentanea, ma bella perché questo senso di comunione perfetta con la natura è fonte di serenità e di gioia.Grande premessa di questa poesia è l’estate che col desiderio di pioggia arriva, immateriale e leggera, fino all’anima, realizzando in un momento di gioco e di magico incantesimo i sogni e le illusioni dei due amanti. Il tema dominante della sua poesia è la ricerca della bellezza e la possibilità di esprimere e far parlare il mondo delle sensazioni, delle emozioni e dei sentimenti, il rifiuto della razionalità, l’abbandono all’istinto e all’esperienza, attraverso una completa identificazione con la natura che diventa amica, conforto, gioia e ci permette di godere delle sensazioni provate.
Il tema della metamorfosi è un riferimento di natura classicista, che non va inteso come nostalgico riferimento alla letteratura ovidiana, ma come una costruzione moderna in cui l’assottigliarsi dello spazio tra sé e natura, tra io e non-io diventa direttamente proporzionale alla sopravvivenza degli antichi dei nella favola moderna. Svolgendo il suo racconto in un contesto apparentemente bucolico, che pure non si nutre del genere pastorale, D’Annunzio sviluppa nodi tematici cari al naturalismo francese, ma anche al materialismo americano e al supernaturalismo inglese in cui lo psicologismo estetico viene sviluppato come una forma sintomatica di incarnazione dell’ambiente circostante: le persone diventano cose, e le cose, o la natura nel caso di questa poesia, viene animata attraverso la prosopopea. D’Annunzio, superando in questa poesia il peso del tecnicismo formale, della superficialità e della mancanza di profondità, presente, talvolta, nella sua produzione, esprime l’ideale decadente del “panismo”, cioè della completa fusione tra l’uomo e la natura che lo circonda. Tale definizione deriva dal greco Pan che è, sia il nome dell’antica divinità dei boschi, sia l’aggettivo greco indefinito tutto. Il problema della modernità, dunque, non è rappresentato come tema di questa poesia, ma la fantasia agreste è un prodotto del desiderio di ritrovare una connessione con la natura (connessione che viene distrutta dalle nuove tecnologie, dai mezzi di comunicazione, dall’industrializzazione e dalla urbanizzazione tipici della società fin-de-siècle europea).
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