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A proposito del Ricordo di Sè…

“Mi ricordo di me nel momento in cui non mi vedo come un oggetto, quando la coscienza non lascia spazio alla divisione. E’ il momento in cui, sentendo la coscienza, sento di essere la coscienza. Sento ‘io’. Il ricordo di sé è lo shock emotivo che si verifica quando tutte le energie che sono al nostro interno entrano in contatto. Questo contatto genera una vibrazione creativa immediatamente soggetta alla ‘legge del sette’. Perciò il ricordo di sé non può rimanere statico.
Nel mio stato abituale l’esperienza è vaga e nebulosa. Sorgono pensieri, onde di emozione e tensione. I pensieri non arrivano tutti insieme, ma uno dopo l’altro. Lo stesso con le emozioni. Quando è passato un pensiero ne arriva un altro. Ma tra i due c’è un intervallo, uno stop, uno spazio estremamente importante. Dietro il movimento che è cominciato e terminato c’è una realtà che mi rimane nascosta. E’ in questo intervallo che posso diventare consapevole di cosa c’è dietro il movimento. Nessun pensiero dura; quello che appare deve poi scomparire. La sua scomparsa è importante quanto la sua comparsa, fa parte della stessa realtà. E se riesco a viverle entrambe, accettarle, sono al di là dell’apparire dello scomparire. Li contengo. In questo momento i miei centri * entrano in relazione l’uno con l’altro, una relazione che si crea da sé.
Per aprirsi al proprio essere essenziale, cioè i centri superiori, è necessario uno stato di unità. Ma nel nostro stato abituale il centro di gravità è sempre messo da parte a favore dell’ego e spostato verso la parte superiore del corpo. Questo ci separa dalla nostra vera forma. La separazione dalla nostra natura essenziale reca sofferenza. Quando questa sofferenza è forte, porta un’apertura che permette un avvicinamento verso l’unità. Ci deve essere una decisione, una determinazione a seguire la strada su cui il nostro essere essenziale ci chiama. A questo scopo è necessario un contatto perpetuo con questo essere essenziale, se vogliamo imparare a servire ed esprimere una forza che ci trascende. Dobbiamo morire a un livello, come ego, per rinascere ad un altro.
Desidero aprirmi. Sento il bisogno di rischiare la mia posizione stabilita. E sento il bisogno di silenzio, un vero silenzio, un vuoto. Allo stesso tempo vorrei prendere, avere, per continuare a vivere nel mio modo abituale. Non mi sottometto, non riconosco, non sono al servizio di nulla. Voglio servire me stesso. E devo accettare questa realtà, viverla, soffrirla, invece di cercare una via d’uscita. Risolverla oggi sarebbe una fuga, un modo di cacciar via quel che è inevitabile. Mi sento chiuso indifferente. E sento questa realtà che mi chiama, ma di cui al tempo stesso non mi fido. Non ho fiducia in essa. Voglio che mi si sottometta. Ho paura, ho paura di scomparire. Per superare questa frammentazione, questa separazione dal mio essere essenziale, tutta l’energia che è al mio interno si deve fondere. Deve essere completamente liberata. Riesco a vederne la necessità? La accetto, la desidero? Non allo scopo di avere successo, o di ricevere qualcosa di meraviglioso e di appropiarmene: piuttosto per vedere la mia nullità, il mio attaccamento, la mia paura di perdere il significato che attribuisco a me stesso. Invece di voler sempre aver ragione, vedo le mie contraddizioni. Mi accorgo di essere ipnotizzato dalla mia stessa immaginazione. Vedo tutto contemporaneamente, il mio ego e il vero ‘io’. Nel vederlo, mi libero. Libero me stesso. Per un momento non sono più lo stesso. La mia attenzione liberata, la mia coscienza, allora, sa cosa sono nell’essenza. E’ la morte dell’io ordinario. Ricordarsi di sè significa morire a sè stessi, alla menzogna della propria immaginazione,: attraverso la coscienza si ha un assaggio di comprensione della mancanza di comprensione. Nel ricordo di sè, l’abbandono dell’ego permette a una nuova coscienza di penetrare. Vedo allora che l’io ordinario è un fantasma, una proiezione di sè. Di fatto, tutto ciò che prendo per manifestazione non è qualcosa di separato, ma una proiezione dell’essenziale. Ritornando alla sorgente, divento consapevole di ciò che sorge per non cadere, di ciò che non è nato e non muore: il sé eterno.” La quarta via, o via dell’uomo astuto lavora sui tre centri principali – mentale, emotivo, motorio – contemporaneamente e si può seguire senza abbandonare la vita che si sta facendo, in quanto lo sviluppo della persona deve cominciare dall’ ambiente dove vive, incrementando un centro magnetico che porti a compiere il suo individuale cammino. Lo sforzo cosciente del ricordo di sé e della riarmonizzazione sono aiutati dalla partecipazione ad un gruppo di persone che si aiutano reciprocamente a rimanere svegli ed a seguire la strada.”

tratto da: “La Realtà dell’Essere. La quarta via di Gurdjieff”