“Nello specchio, tra mille sembianti, scorsi, in un canto da una siepe tutto recinto, rosai colmi di rose;
ne ebbi allora tal cupidigia che tutto avrei tentato per accostarmi al cespo più fitto. In preda a tal follia, che molti altri già colse, i miei passi verso i rosai volsi; quando fui là presso, vi confesso, quell‘intenso profumo delle rose mi penetrò fin nell‘ossa.
Se d‘essere assalito o biasimato non avessi temuto, nei avrei colta una almeno, e l‘avrei raccolta nella mia mano, per goderne l‘odore, ma di pentirmi ebbi timore,
perché ciò poteva di leggieri turbare il Signore del Verziere. Sparsi v‘eran dei mazzi di rose che più belle mai vidi sotto cielo; boccioli piccoli ancor chiusi,
ed altri un po‘ più grossi, ed altri d‘un‘altra grandezza ancora e d‘un tratto inclini già a sfiorire. Non sono perciò da disprezzare: le rose colme ed aperte in un sol giorno sono sfiorite, ma i boccioli dacché son freschi, due o tre giorni durano almeno. Questi boccioli molto mi piacquero. Tra me e me dissi che colui che uno solo ne potesse cogliere, dovrebbe molto esser felice; se io una ghirlanda ne potessi trarre, nessun tesoro mi sarebbe così caro…”
Tratto da: G. de Lorris e J. de Meun, Le Roman de la Rose, a cura di A. Mary e J. Dufournet, Gallimard, Paris 1944, p. 43
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