Ci chiediamo cosa vogliono i bambini?
Indaco, cristallo, arcobaleno, bambini tristi e bambini allegri, anche bambini ormai cresciuti desiderano contatto, vicinanza fisica e spirituale, affettiva e emotiva.
Mi colpì durante il mio corso di laurea al DAMS di Bologna conoscere le tesi di uno psicanalista inglese di nome John Bowlby.
Secondo Bowlby all’inizio della vita l’essere nutriti equivale all’essere amati, il bisogno biologico legato all’alimentazione è presente insieme a un altro bisogno, anch’esso fondamentale quello di essere nutriti d’amore, di essere desiderati, voluti, accettati per quello che si è.
La relazione di attaccamento primaria si sviluppa secondo gli studi di Bowlby entro i primi otto mesi per completarsi definitivamente durante il secondo anno di vita.
“Le coccole, i giochi, le intimità del poppare attraverso le quali il bambino impara la piacevolezza del corpo di sua madre, i rituali dell’essere lavati e vestiti con i quali il bambino impara il valore di se stesso, attraverso l’orgoglio e la tenerezza della madre verso le sue piccole membra, queste sono le cose che mancano” (Bowlby) .
Prendere in braccio il proprio piccolo che piange allora è la risposta più adeguata, da parte della madre, ad un segnale di disagio del bambino: esso non si configura come un rinforzo nè come un comportamento che condiziona il piccolo rendendolo “viziato” come asseriscono i comportamentisti e i teorici dell’apprendimento sociale.
Molte donne per esigenze professionali ed economiche, riprendono a lavorare dopo una gravidanza quando il bambino entra nell’ottavo mese di vita, e di conseguenza lo inseriscono al nido. Proprio in questo delicato momento la relazione di attaccamento sta definendosi e il bambino comprende che quella è proprio la sua mamma. Ma la mamma lo lascia, temporaneamente, ma lo lascia, e il piccolo vive un’esperienza di abbandono. Anche se accudito dalle insegnanti, questo è quello che vive.
Penso debba essere sostenuto nell’etica della famiglia un nuovo modo di pensare, che dia modo alla donna, o anche all’uomo se lo vuole, di occuparsi dei propri figli a tempo pieno soprattutto nei primi anni di vita. Ne avrà giovamento lo sviluppo psicofisico del bambino e anche la realizzazione completa dell’individuo genitore. Queste modalità daranno modo di gettare le basi per una sana relazione di attaccamento che avrà positive ripercussioni in tutti legami affettivi che l’individuo andrà a definire in seguito.
vedi “Attaccamento e Perdita” John Bowlby, Bollati Boringhieri
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