“ Il ritorno a piedi verso l’Arsenale, rappresentò per il giovane Zane un importante momento di riflessione su quello che lo avrebbe aspettato nel futuro. Considerò come avrebbe dovuto sostenere sua madre e spronarla ad accettare la scomparsa del marito. Era diventato lui, il maschio di terza generazione degli Zane, il primo sostegno ai nonni e alle incombenze che avrebbero dovuto essere svolte nei confronti della loro famiglia di Mazzorbetto. Giunto all’Arsenale, dopo un rapido saluto alla zia Isabella, che fu molto contenta di riabbracciarlo, decise di recuperare il sandolo di suo padre. Lasciato detto di salutare suo zio Pietro, che in quel momento era impegnato, si diresse deciso verso l’imbarcadero che Alvise utilizzava per il ricovero del suo sandolo. L’emozione che lo invase quando riuscì a salire, sulla barca che aveva accompagnato suo padre, ogni mattina da Mazzorbetto all’Arsenale, gli procurò un profondo vuoto. Si avvicinò allo scalmo e gli venne spontaneo ripetere un gesto che aveva visto fare da suo padre ogni volta che saliva sul suo sandolo. Accarezzò la testa dello scalmo e con le dita fece una carezza al germano reale che suo padre aveva dipinto sulla gamba della forcola. Nonostante fosse salito mille volte sopra quella barca, non aveva mai prestato molta attenzione a quel dipinto a olio che Alvise, quasi con devozione, aveva voluto fare sul sostegno dove poggiava il remo. Con un interesse nuovo e con la considerazione che meritava l’osservazione di quello scalmo, Jacopo si accovacciò sul fondo della barca, e rimase concentrato a studiare il fregio colorato che suo padre aveva voluto figurare e personificare sul suo sandolo. La prima cosa che gli fu subito evidente riguardò il colore dorato che Alvise aveva dato all’intero scalmo, come volesse farlo diventare un tutt’uno con la colorazione aurea che la laguna nord prende al tramonto. Il germano reale raffigurato, con i suoi caratteristi colori lucidi verdi e blu sulla testa e le sfumature bruno rossastre del petto, si stava alzando dalla laguna tra lo sbattere distintivo delle ali che riverberavano i colori dell’anatra, tra una miriade di schizzi di acqua, sulla superficie della laguna. Il tutto richiamava una immagine di libertà e di bellezza che solo il particolare mondo lacustre riesce a regalare. Turbato e colpito dalla figurazione che il padre era riuscito ad esprimere, slegò il sandolo e lo indirizzò verso l’uscita del rio dell’Arsenale. Con una forza che non aveva mai conosciuto, Jacopo si trovò a remare, con impeto, sul percorso che suo padre, ogni mattina e ogni sera, ripeteva. Passò davanti all’isola delle Vignole, puntando verso l’isola di San Giacomo in Paludo. Quasi a sfogare il suo dolore, Jacopo vogava con una furia assurda. A interrompere il suo andare selvaggio, ci pensò la voce possente di Fra Narciso che lo invitò a sostare nella sua isola e a dirigersi verso la cavana di San Giacomo in Paludo. Quando scese dal sandolo, Jacopo si ritrovò tra le braccia dell’amico frate e non riuscì a contenere le lacrime che lo stavano opprimendo sin dalla partenza dall’Arsenale. …E’ evidente, come mi hai ricordato, che il dipinto che fregia lo scalmo di tuo padre, come hai giustamente interpretato, rappresenta la firma sull’eredità che Alvise ti ha voluto lasciare per attestare che, in ogni uomo, devono esistere sentimenti di amore per le bellezze che la natura ci riserva. Non ti devi dimenticare che lo scalmo, per noi lagunari, è il punto dove appoggiamo ogni sforzo che ci permette di muoverci, lavorare e quindi di vivere.”
tratto da: ” Lo scalmo della vita”, di Ignazio Pinton, ed. Battello Stampatore, dic.2019
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