” Per formularlo ora in modo molto crudo -il che farà probabilmente male alla mia penna stilografica: se un uomo delle SS dovesse prendermi a calci fino alla morte, io alzerei ancora gli occhi per guardarlo in viso, e mi chiederei, con espressione di sbalordimento misto a paura, e per puro interesse nei confronti dell’umanità: Mio Dio, ragazzo, che cosa mai ti è capitato nella vita di tanto terribile da spingerti a simili azioni? Quando qualcuno mi rivolge parole di odio – e questo, in ogni caso non succede spesso – non provo mai la tentazione di rispondere con odio, ma sprofondo improvvisamente nell’altro, in una sorta di disorientamento doloroso e al contempo interrogatorio, e mi chiedo perché l’altro sia così, dimenticando me stessa. Per questo sembro inerme e timida, ma non penso proprio di esserlo: so maledettamente bene come come misurare le parole dell’altro e di volta in volta me ne faccio un’idea, ma in genere non ritengo molto importante farmi valere immediatamente. ”
tratto da: “DIARIO. 1941-1942.”Edizione integrale, Etty Hillesum, Adelphi, 2012
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