“…In questo meraviglioso giorno in cui siamo tutti riuniti per celebrare i vostri successi accademici, ho deciso di parlarvi dei benefici del fallimento. E visto che siete sulla soglia di quella che qualche volta è chiamata “vita reale”, voglio celebrare l’importanza cruciale dell’immaginazione.Queste possono sembrare scelte idealiste e paradossali, ma perfavore, abbiate pazienza.
Guardare indietro alla ventunenne che ero quando mi sono laureata è un’esperienza poco piacevole per la 42 enne che sono diventata. A metà della mia vita stavo facendo il bilancio tra le mie ambizioni e ciò che amici e familiari si aspettavano da me.
Ero convinta che l’unica cosa che avrei mai voluto fare fosse scrivere romanzi. Comunque, i miei genitori, che venivano entrambi da esperienze di povertà e non erano andati all’università, consideravano questa mia iperattiva immaginazione come una deliziosa e personale stranezza che non mi avrebbe mai permesso di pagare un mutuo o ricevere una pensione. So che adesso l’ironia è pari a un’incudine di cartone.
Avevano sperato che prendessi un diploma professionale; io volevo studiare Letteratura inglese. Fu raggiunto un compromesso, che in retrospettiva non ha soddisfatto nessuno: iniziai a studiare Lingue Moderne. I miei avevano appena girato l’angolo della strada con la loro macchina che mollai il Tedesco e fuggii precipitosamente per i corridoi degli studi classici.
Non mi ricordo quando dissi ai miei genitori che studiavo Lettere classiche; potevano scoprirlo da soli per la prima volta il giorno della laurea. Di tutti gli argomenti su questo pianeta, penso che siano stati messi a dura prova col nominarne uno meno utile della mitologia greca quando ci si aspetta la consegna delle chiavi del bagno dei dirigenti.
Mi piacerebbe fosse chiaro, tra parentesi, che non biasimo i miei genitori per il loro punto di vista. C’è un limite ad accusare i vostri genitori per avervi spinto nella direzione sbagliata; il momento in cui siete abbastanza vecchi per prendere il timone, la responsabilità tocca a voi. E quel che più conta, non posso criticare i miei genitori per il desiderio di risparmiarmi l’esperienza della povertà. Lo furono loro stessi, e pure io lo sono stata da allora, e sono abbastanza d’accordo con loro che non sia un’esperienza sublime. La povertà comporta paura, e stress, e qualche volta depressione; vuol dire mille piccole umiliazioni e privazioni. Tirarsi fuori dalla povertà con le proprie forze, questo invece è ciò di cui poter essere orgogliosi, ma la povertà stessa è romantica solo per gli stolti.
Ciò che più spaventava la me stessa della vostra età non era la povertà, ma il fallimento.
Alla vostra età, invece di una distinta mancanza di motivazione all’università, dove passavo fin troppo tempo in caffetteria a scrivere storie e troppo poco tempo alle lezioni, avevo un metodo per passsare gli esami, e questo, per anni, è stata la misura di successo per me e i miei compagni.
Non sono tanto apatica da supporre che voi, giovani, di talento e ben istruiti, non abbiate mai conosciuto fallimenti o strazi. Il talento e l’intelligenza non hanno mai inoculato nessuno contro i capricci del fato, e io non penso neanche per un istante che tutti qui abbiano goduto di un’esistenza di tranquilli privilegi e soddisfazioni.
Comunque, il fatto che vi state laureando a Harvard suggerisce che non siete molto esperti di fallimento. Potreste essere guidati dalla paura di fallire quasi quanto dal desiderio di successo. Infatti, la vostra idea di fallimento potrebbe non essere molto lontana da quella della persona media, da quanto in alto voi siete arrivati.
Alla fine tutti noi dobbiamo decidere cosa significa il fallimento per noi, ma il mondo è abbastanza avido da darvi una gamma di criteri se glielo lasciate fare. Quindi penso sia giusto dire che secondo qualsiasi misura convenzionale, circa sette anni dopo la mia laurea, ho fallito miseramente. Un matrimonio di poca durata d’eccezione si è sgretolato, ed ero disoccupata, un genitore single, e povera così come si poteva essere nella Gran Bretagna moderna. Le paure che i miei genitori avevano avuto per me, e quelle che io stessa avevo avuto per me, erano entrambe arrivate, e secondo ogni standard, ero il più grande fallimento che avevo mai visto.
Ora, non starò qui in piedi a dirvi che il fallimento è divertente. Quel periodo della mia vita è stato triste, e non avevo idea che sarebbe stato ciò che la stampa ha rappresentato come un racconto fiabesco di determinazione. Non avevo idea di quanto sarebbe stato lungo questo tunnel, e per molto tempo ogni luce alla fine di esso era una speranza più che una realtà.
Quindi perché parlo dei benefici del fallimento? Semplicemente perché fallire ha voluto dire spogliarsi di ciò che non era necessario. Ho smesso di cercare di far finta di essere qualcosa che non ero, e ho indirizzato tutte le mie energie in ciò che mi importava davvero. Non riuscivo in nient’altro, non ho mai trovato la determinazione di riuscire nell’unico campo a cui credevo davvero di appartenere. Ero libera, poiché la mia più grande paura si era realizzata, ed ero ancora viva, avevo ancora una figlia che adoravo, avevo una macchina da scrivere e una grande idea. E così basi reali diventarono fondamenta solide sulle quali ho ricostruito la mia vita.
Forse non avete mai fallito come ho fallito io, ma qualche fallimento nella vita è inevitabile. È impossibile vivere senza fallire in qualcosa, a meno che non si viva così cautamente da non vivere per niente – e inquel caso fallisci già in partenza.
Il fallimento mi ha dato una sicurezza interiore che non avevo mai avuto superando gli esami. Il fallimento mi ha insegnato cose che non avrei potuto imparare altrimenti. Ho scoperto di avere una forte volontà e più disciplina di quanto pensassi; ho anche scoperto di avere amici il cui valore era inestimabile.
La consapevolezza di essersi rialzati più saggi e più forti dalle cadute significa che sarete, d’ora in poi, sicuri della vostra capacità di sopravvivere. Non conoscerai mai veramente te stesso, o la forza dei vostri rapporti, finché entrambi non verranno testati nelle avversità. Tale conoscenza è un vero dono, per tutto quello che è vinto nel dolore, e questo mi è stato utile molto più di qualsiasi qualifica abbia mai ricevuto.
Avendo una Giratempo, direi alla me ventunenne che la felicità personale consiste nel sapere che la vita non è una lista di cose da acquisire o da raggiungere. Le tue qualifiche, il tuo Curriculum, non sono la tua vita, anche se incontrerai molte persone della mia età o persino più vecchie che confonderanno le due. La vita è difficile, complessa, oltre il controllo di ognuno, ed è l’umiltà di sapere che vi permetterà di sopravvivere alle sua sfide.
tratto da : J.K. ROWLING, IL DISCORSO DI JK A HARVARD,2008, http://www.eateseseirimastoconharry.com/discorso-jk-a-harvard/
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