“Studiare i volti è forse la prima attività che una bimba compie spinta dal cervello propriamente femminile. …. Cara, una mia ex studentessa, portava regolarmente la figlioletta Leila a trovare me e i miei colleghi. A poche settimane di vita, Leila studiava ogni viso che le compariva davanti. Io e il resto dello staff facemmo in modo di stabilire molti contatti visivi, con smorfie e altre espressioni del viso, e ben presto ottenemmo in risposta sorrisi della piccola. Era piacevole instaurare un legame con lei e avrei desiderato che mio figlio fosse stato altrettanto interessato al mio volto. Invece desiderava guardare tutto, -cellulari, luci e maniglie- eccetto me, stabilire un contatto visivo con me occupava l’ultimo posto nel suo elenco delle cose interessanti da fare. Per mesi pensai che in mio figlio ci fosse qualcosa che non andava. Alla facoltà di medicina, infatti, mi era stato insegnato che tutti i bebè nascono con il bisogno di fissare i volti, azione indispensabile per sviluppare il legame madre-figlio. Allora non si era al corrente delle molteplici differenze celebrali legate al sesso, e le teorie sui primi stadi di sviluppo del bambino erano basate in prevalenza sul comportamento delle femmine: le femmine, e non i maschietti, sono naturalmente portate per il contatto visivo. Le femmine non subiscono l’afflusso del testosterone nell’utero, che restringe i centri di controllo della comunicazione, dell’osservazione e dell’elaborazione delle emozioni; di conseguenza alla nascita sono predisposte allo sviluppo di tale abilità più che i maschi. Durante i primi tre mesi di vita, in una bambina la capacità di contatto visivo e di reciproca osservazione del volto crescerà oltre il quattrocento per cento, mentre non aumenterà affatto nel maschio. Le bambine nascono con un grande interesse verso le emozioni. Prendono consapevolezza di sé da uno sguardo, un gesto, da ogni reazione delle persone con cui entrano in contatto: a partire da questi indizi scoprono se vengono considerate importanti, degne di amore o irritanti. … Si tratta piuttosto di un’innata capacità di osservazione posseduta da un cervello che, alla nascita, si presenta più maturo di quello di un maschio e che si sviluppa più rapidamente, con un anticipo di circa due anni….
Per entrambi i sessi la custode delle emozioni è l’amigdala. Questa collocata in profondità nel cervello e caratterizzata da una struttura a forma di mandorla, è un sistema di allerta e di coordinamento cerebrale che mette in azione gli altri organi del corpo –le viscere, la pelle, il cuore, i muscoli, gli occhi, il viso, le orecchie e le ghiandole adrenali- perchè si tengano pronti a captare gli stimoli emotivi in arrivo. Il primo ripetitore che rinvia le emozioni dall’amigdala al corpo è l’ipotalamo: coordina la messa in moto dei sistemi che fanno salire la pressione sanguigna, accelerare il battito cardiaco e il ritmo respiratorio, e stimola la reazione di combattimento o fuga. L’amigdala mette anche in allarme la corteccia, che valuta la situazione emotiva, la analizza e decide quanta attenzione meriti: se percepisce una sufficiente intensità, suggerisce all’amigdala di avvisare il cervello conscio affinchè presti attenzione. E’ questo il momento in cui si provano consapevolmente le emozioni. Tutta l’elaborazione celebrale precedente si svolge dietro le quinte: ora, il centro decisionale del cervello, la corteccia prefrontale, può decidere come reagire. Il motivo per cui le donne ricordano meglio i dettagli relativi alle emozioni è in parte legato al fatto che l’amigdala femminile viene attivata più facilmente dalle sfumature emotive. … Secondo gli scienziati, perchè le donne hanno un ippocampo relativamente più grande, ricordano meglio i dettagli delle esperienze emotive, sia piacevoli che spiacevoli.”
Tratto da: “Il cervello delle donne”, Louann Brizendine, ed. BUR, 2007
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