She said as well to me: “Why are you ashamed?
That little bit of your chest that shows between
the gap of your shirt, why cover it up?
Why shouldn’t your legs and your good strong thighs
be rough and hairy?–I’m glad they are like that.
You are shy, you silly, you silly shy thing.
Men are the shyest creatures, they never will come
out of their covers. Like any snake
slipping into its bed of dead leaves, you hurry into your clothes.
And I love you so! Straight and clean and all of a piece is the body of a man,
such an instrument, a spade, like a spear, or an oar,
such a joy to me–”
So she laid her hands and pressed them down my sides,
so that I began to wonder over myself, and what I was.
She said to me: “What an instrument, your body!
single and perfectly distinct from everything else!
What a tool in the hands of the Lord!
Only God could have brought it to its shape.
It feels as if his handgrasp, wearing you
had polished you and hollowed you,
hollowed this groove in your sides, grasped you under the breasts
and brought you to the very quick of your form,
subtler than an old, soft-worn fiddle-bow.
“When I was a child, I loved my father’s riding-whip that he used so often.
I loved to handle it, it seemed like a near part of him.
So I did his pens, and the jasper seal on his desk.
Something seemed to surge through me when I touched them.
“So it is with you, but here
The joy I feel!
God knows what I feel, but it is joy!
Look, you are clean and fine and singled out!
I admire you so, you are beautiful: this clean
sweep of your sides, this firmness, this hard mould!
I would die rather than have it injured with one scar.
I wish I could grip you like the fist of the Lord, and have you–”
So she said, and I wondered,
feeling trammelled and hurt.
It did not make me free.
Now I say to her: “No tool, no instrument, no God!
Don’t touch me and appreciate me.
It is an infamy.
You would think twice before you touched a weasel on a fence
as it lifts its straight white throat.
Your hand would not be so flig and easy.
Nor the adder we saw asleep with her head on her shoulder,
curled up in the sunshine like a princess;
when she lifted her head in delicate, startled wonder
you did not stretch forward to caress her
though she looked rarely beautiful
and a miracle as she glided delicately away, with such dignity.
And the young bull in the field, with his wrinkled, sad face,
you are afraid if he rises to his feet,
though he is all wistful and pathetic, like a monolith, arrested, static.
“Is there nothing in me to make you hesitate?
I tell you there is all these.
And why should you overlook them in me?–”
D. H. Lawrence’s poem: “She Said As Well To Me”
“Lei mi diceva proprio così”
“Lei mi diceva proprio così:”Perchè ti vergogni?
Quel pezzetto di torace che esce
dall’apertura della camicia, perchè
lo copri? Perchè non dovrebbero le tue gambe,
le tue buone forti cosce essere
ruvide, piene di peli? Io sono
contenta che siano così.
Tu sei timido, sciocco, tu sciocca
timida cosa. Gli uomini sono le più timide
delle creature, non usciranno mai dai loro
rifugi. Come un serpente che scivola nel suo
letto di foglie morte, tu ti affretti dentro
i tuoi vestiti. E a me piaci così!
Diritto e netto e tutto di un pezzo è il corpo
dell’uomo, uno strumento così, una picca,
come una spada, e come un remo, una gioia
per me!” Così lei appoggiava le sue mani
e le premeva sotto i miei fianchi
così io cominciavo a meravigliarmi
di me stesso, a chiedermi che cosa ero.
Lei mi diceva:”Che strumento il tuo corpo!
Singolo, perfettamente distinguibile
da ogni altro. Che utensile nelle mani
del Signore. Soltanto Dio poteva
portarlo al compimento della sua forma.
E’ come se la sua presa, lavorandoti
ti avesse polito e scavato, scavato
questa scanalatura nei tuoi fianchi
impugnato sotto il petto e portato
all’essenza della tua forma
più sottile che un vecchio, dolce, consumato
archetto di violino.Quando ero bambina, amavo il frustino
da cavallerizzo di mio padre, che lui
usava così spesso.
Mi piaceva tenerlo in mano, mi sembrava
come una parte vicina di lui.
Così la penna e il sigillo di dispro
sulla sua scrivania.Qualcosa
sembrava sollevarsi attraverso me
quando li toccavo.
Così è con te, ma qui ora
è gioia che sento.
dio sa cosa sento, ma è
gioia. Guarda, tu sei netto, ben fatto, unico:
io ti ammiro così, sei bello: questa netta
curva dei tuoi fianchi, questa fermezza, questa
secca modellatura
Vorrei morire piuttosto che avergli fatto
male con uno sfregio.
Desidero afferarti con un pugno
del Signore, ed averti …”
Così lei mi diceva, e io provavo
meraviglia, mi sentivo inceppato, ferito,
mi liberavo.
Ora io le dico:”Lascia andare strumenti, utensili
Dio. Non mi toccare, non dirmi più parole
di lode. E’ un’infamia.
Ci penseresti due volte prima di toccare la donnola
sul recinto, come alza la sua bianca, dritta gola.
La tua mano non sarebbe così corriva.
E al vipera che vedemmo addormentata
con la testa sulla spalla, arricciata
al sole come una principessa
quando sollevò la testa in una sua
delicata, trasalita maraviglia
tu non ti sporgesti a carezzarla
benchè apparisse di una così rara
bellezza, e fu un miracolo come dolcemente
scivolò via, con quanta dignità.
E il giovane toro del campo, con il suo muso
triste, corrugato, tu hai paura se si rizza
in piedi, benchè sia tutto pieno di desiderio
e patetico, come un monolito, sospeso, statico.
C’è niente in me che ti faccia esitare?
Io ti dico che ci sono tutte quelle creature.
Perchè te le dovresti lasciar sfuggire, in
me?”
tratto da: “Il mattino di primavera ” D.H.Laurence, Passigli poesia
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