Poesie

A Dante, (1903)…110 anni dopo

Gabriele D'Annunzio

Oceano senza rive infinito d’intorno e oscuro
ma lampeggiante, e con un silenzio sotto i terribili tuoni
immoto ma vivente come il silenzio delle labbra
che parleranno:
tenebrore dei Tempi, profondità dell’affanno
umano, assidua mutazione delle cose, ritorno
perpetuo delle sorti:
oceano senza rive tra due poli, tra il Bene e il Male,
con le sue bave disperse dalla procella eternale,
co’ suoi abissi ingombri dalle spoglie dei popoli morti,
era il Destino;

e tu come una rupe, come un’isola montuosa,
come una solitudine di pensiero e di potenza,
come una taciturna mole di dolor meditabondo
che ode e vede,
sorgevi uno dal gorgo; e nell’ululo delle prede,
nel sibilo dei nembi, nel rombo delle correnti,
il tuo orecchio udiva
quel silenzio e la sola Parola che doveva esser detta;
e di sotto alla fronte percossa dalle schiume e dai vènti
il tuo occhio insonne vedeva infiammarsi il mondo
all’alta tua vendetta.

Allora, nei baleni e nell’ombre, lo spirito dell’uomo
stette davanti a te, ignudo, senza la sua carne,
senza le sue ossa, disvelato davanti alla scienza
del tuo dolore;
e nel cavo delle tue mani, che sapean l’arme e il fiore,
più mansuefatti degli augelli che la neve caccia
verso gli asili umani,
discesero i messaggi delle divine speranze,
i poteri sconosciuti delle verità divine;
e ti diede i suoi tuoni e i suoi raggi il tuo Dio, cui tu alzasti il canto
che non ha fine.

O nutrito in disparte su le cime del sacro monte,
abbeverato solo nell’albe al segreto fonte
delle cose immortali, Eroe primo di nostro sangue
rinnovellante;
oceanica mente ove dieci secoli atroci,
carichi d’oro d’ombra di strage di fede e di paura
metton lor foci
silenziosamente; anima vetusta e nuova,
instrutta e ignara, memore e indovina, ove si serra
tutto il pensier dei Saggi e palpitano il Fuoco l’Aria
l’Acqua e la Terra;

o Risvegliatore, o Purificatore, o Intercessore
per la vita e per la morte, o tu che cresci il vigore
della stirpe come il pane nato dal nostro sudore,
noi t’invochiamo;
o tu che col tuo canto disveli agli uomini i cammini
invisibili e discopri i vólti nascosti dei destini,
noi ti preghiamo;
o tu che risusciti l’antica virtù delle contrade
e tempri il medesimo ferro per la bontà delle spade
e per la gioia delle falci nelle profonde biade,
noi ti attendiamo;

perocché tu sii pur sempre atteso in prodigi, come il Figlio
del tuo Dio, dai cuori che nei battiti del tuo canto
appresero a sperare oltre il volo delle fortune,
o profeta in esiglio,
e pur sempre su le nuove tombe e su le nuove cune,
là dove un’opra si chiuse e là dove s’apre un germe,
suoni il tuo nome santo,
e il tuo nome pei forti sia come lo squillo degli oricalchi,
e solo il nomar del tuo nome, come il turbine agita i lembi
d’un gran vessillo, scuota nei suoi mari e nei suoi valchi
l’Italia inerme.

Dove sono i pontefici e gli imperatori? Splendenti
erano nella specie dell’oro, e stampavano con piedi
obliqui le vestigia sanguigne, vestiti dell’antica
frode, e i lor vestimenti
odoravano. Rotti come i sermenti addi, perduti
come i fuscelli nella tempesta, diffusi come crassa
cenere ai vènti.
E pallido il postremo alza le mani verso le porte
dei cieli e attende un segno, e chiama, e nulla appare fuor che la morte.
Ma il cuore della nazione è come la forza delle sorgenti
meraviglioso;

e tu rimani alzato nel conspetto della nazione
con la tua parola eterna nella tua bocca respirante,
col tuo potere eterno nel tuo pugno vivo; e la tua stagione
sta su la nostra terra
senza mutarsi; e la tua virtù è dentro le radici
di nostra vita come il sale è nel mare, come la fecondità
è nella nostra terra;
e nulla di te perisce nei tempi ma la tua passione,
ma il tuo furore, ma il tuo orgoglio e la tua fede e la tua pietà
e la tua estasi e tutta la tua grandezza dura nei tempi come
dura la nostra terra.

Tu la vedesti col tuo profetico onniveggente occhio infiammato
l’Italia bella, come una figura emersa dall’interno
abisso del tuo dolore, creata dalla tua stessa fiamma,
con i suoi monti,
con i suoi piani, con i suoi fiumi, con i suoi laghi,
con i suoi golfi, con le sue città ruggenti d’ire,
l’Italia bella;
e la tua rampogna la rifece sacra, la tua preghiera
fece risplendere di purità le sue membra schiave;
sì che sempre gli uomini vedran su lei bella il duplice splendore
del cielo e del tuo verbo.

Sol nel tuo verbo è per noi la luce, o Rivelatore,
sol nel tuo canto è per noi la forza, o Liberatore
sol nella tua melodia è la molt’anni lagrimata
pace, o Consolatore,
quando la cruda pena il veemente sdegno il duro spregio
si fanno eguali alle più dolci cose della foresta
primaverile
e la mano che torturò la carne immonda, che trattò la ghiaccia
e il fuoco, la pece e il piombo, gli sterpi e i serpi, il fango e il sangue,
tocca segrete corde e nel silenzio fa il divin concento
ch’ella può sola.

Cammineremo noi ne’ tuoi cammini? O imperiale
duce, o signore dei culmini, o insonne fabbro d’ale,
per la notte che si profonda e per l’alba che ancor non sale
noi t’invochiamo!
Pel rancore dei forti che patiscono la vergogna,
pel tremito delle vergini forze che opprime la menzogna,
noi ti preghiamo!
Per la quercia e per il lauro e per il ferro lampeggiante,
per la vittoria e per la gloria e per la gioia e per le tue sante
speranze, o tu che odi e vedi e sai, custode alto dei fati, o Dante,
noi ti attendiamo!

tratto da :Elettra, di Gabriele D’Annunzio, composto tra il 1899 e il 1902 e pubblicato nel 1903