Gli ultimi anni della sua vita furono per San Antonio i più importanti per la sua eredità spirituale. Nominato ministro provinciale per l’Italia settentrionale all’età di 32 anni, spesso in visita presso gli ormai numerosi conventi francescani dell’Italia settentrionale, a Milano, Venezia, Vicenza, Verona, Ferrara, ma anche Trento, Brescia, Cremona e Varese. Fra tutte queste città Antonio scelse però il convento di Padova come sua residenza fissa quando non era in viaggio. La città aveva circa quindicimila abitanti ed era un grande centro di commerci e industrie. Qui Antonio cercò di portare a termine senza riuscirci la sua più importante opera scritta “I Sermoni”, un’opera dottrinaria di profonda teologia, che lo farà proclamare Dottore della Chiesa. La predicazione però non gli lasciò il tempo di finire quest’opera. Una folla notevole lo seguiva nelle sue prediche tanto che si riempivano le chiese e le piazze, e tanto che a Padova Antonio era divenuto estremamente famoso e ricercato. Tra predicazioni instancabili e lunghe ore dedicate al confessionale spesso Antonio compiva lunghi digiuni. Durante la Quaresima dal 6 febbraio al 23 marzo 1231, la sua predicazione fu una novità per quei tempi; secondo l’Assidua gli venne assegnato un gruppo di guardie del corpo, che formassero un cordone di sicurezza tra lui e la folla. Il 15 marzo 1231 fu modificata la legge sui debiti: «su istanza del venerabile fratello il beato Antonio, confessore dell’ordine dei frati minori» il podestà di Padova Stefano Badoer stabilì che il debitore insolvente senza colpa, una volta ceduti in contropartita i propri beni, non venisse più imprigionato né esiliato. La Quaresima e la predicazione avevano fiaccato Antonio, che in diverse occasioni aveva dovuto farsi portare a braccia sul pulpito. Afflitto dall’idropisia e dall’asma forse sintomi di cardiopatia, trovava a volte difficile anche il solo camminare. Acconsentì a ritirarsi per una convalescenza nel convento di Santa Maria Mater Domini. Questo suo breve riposo, tuttavia, si interruppe bruscamente. Spadroneggiava in quel tempo, tra Verona e Vicenza, Ezzelino III da Romano, emissario dell’imperatore Federico II contro i liberi Comuni. Riuscito a farsi eleggere Podestà di Verona, città guidata dai conti di Sambonifacio, aveva intrecciato con loro un doppio matrimonio: lui con Zilia, sorella del conte Rizzardo, e questi con sua sorella Cunizza. Una volta ottenuto il potere, passò sopra i legami di parentela e ruppe l’alleanza con i Sambonifacio, mandando in carcere il cognato. Alcuni cavalieri del conte Rizzardo ripararono a Padova e da lì cercarono di organizzarne la liberazione. Verso la fine di maggio Antonio partì alla volta di Verona, per chiedere ad Ezzelino di concedere la grazia al conte Rizzardo; ma non riuscì ad ottenere nulla. Ezzelino fu veramente irremovibile, ed anzi risparmiò ad Antonio la stessa sorte del conte Rizzardo soltanto per rispetto dell’abito che portava. Coraggioso, quanto sfortunato fu l’incontro con il feroce tiranno, dal quale era andato a perorare la liberazione dei prigionieri tenuti barbaramente segregati nelle celle del suo palazzo. Antonio uscì da questo incontro molto provato, ma anche Ezzelino fu colpito dall’immensa forza della fede del Santo.
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