“Scrive il maestro egizio Abammone in risposta alla lettera di Porfirio al giovane Anebo: «tu dici per prima cosa che ammetti l’esistenza degli dèi, ma questa affermazione non è giusta, perché la conoscenza innata degli dèi coesiste con la nostra essenza, è superiore a ogni giudizio e a ogni scelta, anteriore al ragionamento e alla dimostrazione». Non è nemmeno una forma di conoscenza, perché in questo caso ciò che è conosciuto non è altro rispetto al conoscente, noi abbiamo intuizione innata delle divinità, come anche dei dèmoni, degli eroi e delle anime pure, siamo «circondati dalla divina presenza», con «l’intima unione che ci tiene stretti agli dèi e che possiede la forma della monade». Nel rispondere alle domande del filosofo Porfirio, il sacerdote egizio Abammone, che si autodefinisce «profeta», ossia di grado altissimo tra i sacerdoti, promette di avviare una discussione nel rispetto del metodo. Le questioni teologiche saranno trattate con la terminologia e secondo le tematiche della teologia, lo stesso avverrà con le questioni teurgiche e filosofiche.”
tratto da:Domenica Sole 24 ore, 18 agosto 2013, “L’arte di intercettare gli dèi” di Maria Bettetini
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