Eros (dal greco antico ἔρως), tradotto genericamente con amore, non ha quelle connotazioni intimistiche attribuite al termine italiano. Il concetto antico di eros (tradotto in latino con Cupido, Amor) è spesso associato all’attrazione sessuale ma anche, inteso come forza che tiene uniti elementi diversi e talora contrastanti senza arrivare ad annullarli, all’amicizia e, con la finalità di unire in un unico corpo sociale una moltitudine di cittadini, alla politica. Nel suo specifico significato filosofico eros è stato primariamente inteso come la forza vitale che muove il pensiero e la filosofia stessa, fungendo da tramite fra la dimensione terrena e quella sovrasensibile. Nel dialogo Liside Platone tratta l’argomento dell’eros inteso come quello che intercorre tra due amici: chi è l’amico, colui che ama o colui che riceve amore? Platone propende per il secondo caso ma non ignora le difficoltà connesse al problema. L’eros, inteso come amicizia, sfugge infatti sia al principio empedocleo per il quale il simile ama il simile sia a quello eracliteo per cui il contrario è amico del contrario L’eros allora esprime una situazione intermedia che trova spiegazione nel dialogo del Simposio. Eros è descritto, per bocca di Diotima, non come un dio ma come un dèmone,[6] un essere che si pone a metà strada fra ciò che è Divino e ciò che è umano, con la funzione di intermediare tra queste due dimensioni: un essere, sempre inquieto e scontento, identificato con la filosofia, intesa letteralmente come “amore del sapere”.[7] La peculiarità di eros è infatti essenzialmente la sua ambiguità, ovvero l’impossibilità di approdare a un sapere certo e definitivo, e tuttavia l’incapacità di rassegnarsi all’ignoranza. Secondo Platone infatti Eros è figlio di Pòros (Abbandonza, ricchezza, risorsa[9] e Penìa (Povertà): la filosofia intesa come eros è dunque essenzialmente amore ascensivo, che aspira alla verità assoluta e disinteressata (ecco la sua abbondanza); ma al contempo è costretta a vagare nelle tenebre di una sempre mai risolta ignoranza (la sua povertà).
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