“Rita non è mai stata moglie e madre.
Spiegava il perché cominciando da Dio.
«Invidio chi ha la fede.
Io non credo.
Non posso credere in un dio che ci premia e ci punisce, in un dio che vuole tenere il nostro destino nelle sue mani.
Ognuno di noi può diventare un santo o un bandito, ma ciò dipende dai nostri primi tre anni di vita, non da dio.
È una legge di una scienza che si chiama epigenetica, in altre parole si può definire il risultato del dialogo che si instaura tra i nostri geni e l’ambiente familiare e sociale nel quale cresciamo.
Prendete una bicicletta o un insetto, oggi sono pressoché uguali a com’erano duecento anni or sono.
Noi no.
L’uomo è darwiniano al cento per cento.
Ebbene, io a tre anni, a tre anni, lo giuro, ho deciso che non mi sarei mai sposata e che non avrei avuto bambini.
Sono rimasta condizionata dal rapporto vittoriano che subordinava mia madre a mio padre.
A quei tempi nascere donna significava avere impresso sulla pelle un marchio di inferiorità.
Eppoi ho visto troppe vite matrimoniali sfortunate.
Ne vedo tante anche oggi.
Vite tristi, vuote, false».
Negli Stati Uniti, durante un ricevimento venne avvicinata da una signora che le domandò se anche suo marito era membro della National Academy.
Lei le rispose: «I am my own husband», sono io stessa mio marito.
Sola, eppure circondata per l’intera esistenza da una folla di uomini.
Amici, maestri.
A partire da Giuseppe Levi, padre di Natalia Ginzburg, il professore che le preconizzò il Nobel per la medicina.
«Ho rinunciato a costruire una famiglia, non all’amore», raccontava Rita.
«Ho avuto degli affetti, mi sono innamorata, sono stata felice.
Ma forse il mio unico figlio è stato l’Nfg.
Ho avuto e ho amici importantissimi, gli amici di una vita: Renato Dulbecco, Giuseppe Attardi, il mio maestro Viktor Hamburger alla Washington University di St.
Louis, Norberto Bobbio, la poetessa Maria Luisa Spaziani, Pietro Calissano, Piero Ientile, Pina Tripodi».
tratto da: http://www.swas.polito.it/services/Rassegna_Stampa/dett.asp?id=4028-165099976
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