Fenomeno che si verifica a livello quantistico, che coinvolge due o più particelle generate da uno stesso processo o che si siano trovate in interazione reciproca per un certo periodo. Tali particelle rimangono in qualche modo legate indissolubilmente (entangled), nel senso che quello che accade a una di esse si ripercuote immediatamente anche sull’altra, indipendentemente dalla distanza che le separa.
E’ il termine inglese usato in maniera standard dai fisici quantistici e tradotto alla lettera in italiano significa “intreccio”. Diciamo che il termine è abbastanza azzeccato perché denota uno stato prettamente fisico di legame indissolubile tra due particelle elementari – come ad esempio due elettroni o due fotoni – che hanno interagito almeno una volta. Il legame è di natura quantistica e significa che entrambe le particelle si comportano come un tutt’uno. La prova cruciale di questa specie di miracolo della natura la ebbe per la prima volta il fisico francese Alain Aspect con un epocale esperimento effettuato in laboratorio nel 1982. Si osservò che se si cambiava una proprietà (come ad esempio lo spin o la polarizzazione) della prima particella anche la stessa proprietà dell’altra cambiava istantaneamente. Questo cambiamento avviene semplicemente all’atto della misura, dove sulla scala quantistica, l’osservatore interagisce ineluttabilmente con l’osservato: l’atto della misura perturba la prima particella e istantaneamente influenza anche la particella gemella. Più che sfuggente, il fenomeno dell’entanglement è tanto inquietante quanto reale, soprattutto se si pensa che esso si realizza a qualunque distanza le particelle si trovino l’una dall’altra, sia essa anche di miliardi di chilometri. Questo fenomeno quantistico è ufficialmente confermato solo nel caso del mondo microscopico. In realtà, modelli teorici recenti molto sofisticati accoppiati ad uno studio attento del cervello, come ad esempio quello di “neurodinamica quantistica” proposto dal matematico Roger Penrose e dall’anestesiologo Stuart Hameroff, prevedono che i microtubuli che costituiscono l’ossatura dei neuroni cerebrali funzionino su tutta la massa cerebrale in uno stato di “entanglement orchestrato” tra loro, proprio quello che genera un atto di coscienza. Ma non sembra che ci si debba fermare a questo: secondo certi modelli di cosmologia quantistica, l’universo prima della sua nascita era in realtà un “multiverso”, costituito da un numero sconfinato di universi paralleli coesistenti che si trovavano in stato di entanglement tra loro. E non è finita. Fisici teorici come Brian Josephson, fisici sperimentali come Robert Jahn, e psicologi sperimentali come Dean Radin e Roger Nelson, ritengono che i cosiddetti “poteri telepatici” e i casi di “coscienza collettiva”, non solo siano eventi reali ma anche che essi rappresentino uno stato di entanglement tra le coscienze di due o più persone separate, le quali così riescono a comunicare in maniera istantanea in base ad un meccanismo fisico simile alla risonanza. In sintesi, l’entanglement è una proprietà teoricamente e sperimentalmente dimostrata delle particelle elementari, ma alcuni indizi piuttosto recenti fanno ritenere che esso si realizzi in una forma speciale anche nella scala biologica, nella scala psichica e nella scala cosmologica.
Massimo Teodorani
tratto da: http://lapotenzanellaquiete.wordpress.com/
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