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Novarmonia nasce da una riflessione quotidiana sulla vita, una sorta di diario intimo delle mie letture e delle mie riflessioni.  Brani scelti, film, musiche si susseguono dando vita a un discorso profondo sul senso delle cose. Si contrappone agli altri miei diari, quello rosa e quello dedicato alla moda e alla casa. Personali sguardi sul mondo.

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मण्डल, Mandala promanazione dell’UNO

Màndala (sanscrito maṇḍala (मण्डल), letteralmente: «essenza» (maṇḍa) + «possedere» o «contenere» (la); tradotto anche come «cerchio-circonferenza» o «ciclo», entrambi i significati derivanti dal termine tibetanodkyil khor) è un termine simbolico associato alla cultura veda e in particolar modo alla raccolta di inni o libri chiamata Rig Veda. La parola è utilizzata, anche, per indicare un diagramma circolare costituito, di base, dall’associazione di diverse figure geometriche[1], le più usate delle quali sono il punto, il triangolo, il cerchio e il quadrato. Il disegno riveste un significato spirituale e rituale sia nel Buddhismo sia nell’Induismo. Legato alla “legge del Centro”, dove i cicli, siano essi pertinenti alla vita o alla morte, allo spazio,tempo, forze visibili, invisibili, sono tenuti assieme in modelli concentrici, dove il centro è identificato come il centro del potere, della saggezza, della vita. Il centro è il senza nome, è il più antico, che continuamente riversa la sua energia verso l’esterno, ed è autorigenerante. Il mandala è un simbolo spirituale e rituale che rappresenta l’universo. Non solo una forma d’arte, i mandala sono usati in numerose tradizioni spirituali, ma soprattutto nell’Induismo e nel Buddismo, per focalizzare l’attenzione, per definire uno spazio sacro e per aiutare la meditazione. Nella tradizione buddista i mandala vengono disegnati con sabbie colorate e poi distrutti, a simboleggiare l’impermanenza del mondo materiale. Oggi il termine mandala è molto conosciuto anche in Occidente ed è entrato nell’uso comune per indicare motivi geometrici, diagrammi e disegni circolari che rappresentano simbolicamente un microcosmo dell’universo, usati in vari ambiti (dalle pratiche spirituali alla psicologia) per ritrovare calma, equilibrio e pace e, in ultimo, aumentare la consapevolezza di sé. Proseguiamo con l’etimologia, fondamentale per capire come mai si usi una parola per esprimere un certo concetto. Màndala può tradursi con “cerchio” o “centro” e, come cerchio, è una rappresentazione essenziale, geometrica del mondo e del cosmo: si può quindi dire che un mandala è un “cosmogramma”. Solitamente nel mandala c’è una “cintura” esterna e uno o più cerchi concentrici, contenenti un quadrato suddiviso in quattro triangoli: al centro di ogni triangolo (e anche al centro del mandala) ci sono altri cerchi, contenenti figure di divinità. A volte un mandala ha una struttura labirintica, o è disegnato come un palazzo con le sue torri; possono esserci disegni floreali o strutture ripetitive (come i cristalli). Simbolicamente, la “cintura” esterna del mandala è una sorta di “barriera di fuoco” (la coscienza metafisica) che brucia l’ignoranza; la “cintura” successiva simboleggia l’illuminazione, poi una “cintura” di foglie evoca la rinascita spirituale; al centro di quest’ultimo cerchio si trova il vero mandala (palazzo) con le immagini degli dèi. All’estrema periferia di tutto il disegno ci sono quattro porte difese da “guardiani” protettori della coscienza. Meditando sul mandala, il discepolo rivive l’eterno processo della creazione-distruzione-creazione periodica dei mondi; penetra così nei ritmi del tempo cosmico e, spezzando le catene del samsara (la vita terrena, il mondo materiale), approda a un piano trascendente.
Per capire davvero un mandala non si può prescindere dal vederlo formarsi sotto le abili mani dei monaci buddisti che lo creano con sabbie colorate: tramite cannucce dorate fanno cadere, negli appositi spazi precedentemente disegnati, i vari colori che comporranno l’immagine finale. La sabbia colorata scende grazie al perfetto, ripetitivo movimento della mano del monaco, che fa vibrare la cannuccia conica causando la fuoriuscita della sabbia. Le cannucce sono di diverse dimensioni, per fare segni più o meno sottili, proprio come i pennelli di un pittore o i pennini di un calligrafo. Per completare un mandala di sabbia possono volerci giorni interi, durante i quali l’ipnotico rumore dello sfregamento sulle cannucce accompagna una sorta di meditazione cui tutti possono assistere. Inevitabilmente, qualunque sia la preziosità e la grandezza del lavoro e il tempo che c’è voluto per realizzarlo, il màndala sarà distrutto con una cerimonia finale, le sabbie saranno tutte rimescolate e gettate in un corso d’acqua.
Da sempre utilizzati da guide spirituali, sciamani e guaritori come strumento di meditazione e fonte di saggezza. Il mandala rappresenta una immagine simbolica in cui convivono due forme geometriche fondamentali: il quadrato che indica l’armonia da raggiungere nel mondo materiale, al fine di poter poi conseguire la perfezione spirituale rappresentata dal cerchio. In arteterapia, in contesti di counseling ed art-counseling, il mandala può essere utile come forma di autoesplorazione ed autorappresentazione.

Fare un mandala con tecniche varie aiuta a ritrovarci nel “qui ed ora” dell’esperienza, a ritrovare un equilibrio in un particolare momento o passaggio della nostra vita. Il Mandala è un’immagine di noi stessi che tramite la sua realizzazione è in grado di aumentare il nostro grado di coscienza e consapevolezza. Durante la sua realizzazione, gli aspetti frammentari dell’identità si ricompongono.
Ecco perché, in particolare con soggetti con disturbi dissociativi, l’utilizzo costante dei Mandala, come sostegno al percorso psicoterapeutico, ha un effetto molto proficuo. A  volte,  soprattutto  se  usati  per  scopi  terapeutici,  vengono date indicazioni  sul  significato, sui colori consigliati e su come procedere alla colorazione. In campo medico si è fatto uso terapeutico del Mandala nel trattamento del cancro; esso infatti rappresenta una via al ritrovamento dell’ordine e dell’energia, aspetti che si tendono a perdere quando si è malati.

liberamente tratto da un testo di Cinzia Picchioni, si può visionare nella sua versione integrale al link: http://www.leviedeldharma.it/cosa-sono-i-mandala/ e da http://www.lifeme.it/2016/11/il-mandala-significato-meditazione-colorare-.html

La quadratura del cerchio

La quadratura del circolo è un simbolo dell’opus alchymicum , in quanto essa scompone l’unità iniziale caotica nei quattro elementi, per poi ricomporli in un’unità superiore.  L’unità è rappresentata dal circolo, i quattro elementi dal quadrato.
La produzione dell’Uno dal Quattro avveniva per mezzo di un processo di distillazione, o sublimazione, con un decorso che aveva una forma per così dire “circolare”: il distillato veniva cioè sottoposto a diverse distillazioni affinché l’“anima” o lo “spirito” potessero venir estratti nella loro forma più pura.  Di regola al risultato veniva dato il nome di quintessenza, che però non è che uno dei tanti nomi di quell’ “Uno” sempre atteso e mai ottenuto. Esso ha, dicono gli alchimisti, “mille nomi”, come la materia prima.  Dal corpo anima e spirito devono venir separati, ciò che equivale a una morte: “Per questa ragione dice anche Paolo di Tarso: ‘Cupio dissolvi et esse cum Christo.’  Lo spirito (o rispettivamente spirito e anima) è il ternarius о numero tre, che prima viene separato dal suo corpo ma, dopo la purificazione di quest’ultimo, viene nuovamente infuso in esso.  Il corpo è evidentemente il quarto. 

Khunrath fa quindi riferimento a una citazione dello Pseudo-Aristotele, dove dal triangolo inscritto nel quadrato riemerge il cerchio. Questa figura circolare costituisce, assieme all’Ouroboros (il drago che divora sé stesso mordendo con la bocca la propria coda), il mandala alchimistico di base.  Sulla via per arrivare all’inconscio, si passerà per la quadratura del cerchio, quest’ultima è un punto di transito, uno strumento, un tramite per raggiungere una meta situata al di là, non ancor formulata. Si tratta di una di quelle strade che portano al centro del non-Io, e che furono battute anche dall’indagine medievale nei tentativi di produzione del Lapis (Pietra filosofale).    Come gli stupa contengono al loro interno reliquie del Buddha, così all’interno del quadrato lamaistico, e anche in quello del quadrato della terra cinese, si trova il Santissimo, о l’elemento dotato di effetto magico: la fonte di energia cosmica, il dio Śiva, il Buddha, un bodhisattva о un grande maestro. Anche nei mandala occidentali del Medioevo cristiano, la divinità sta seduta in centro sul trono, spesso in forma di Redentore trionfante con le quattro figure simboliche degli evangelisti.

Jung, Carl Gustav. Opere vol. 12 (Italian Edition) (p.166). Bollati Boringhieri. Edizione del Kindle.

 

tratto da:https://www.lauravalli.blog/alchimia-trasformativa/simboli-alchemici-la-quadratura-del-cerchio/

Un quadrato inserito in un cerchio.. Villa Capra “La Rotonda”

La Rotonda o Villa Almerico Capra, Andrea Palladio 1566

Il progetto della villa venne commissionato a Palladio nel 1566 dal facoltoso canonico e nobile Paolo Almerico; dopo la morte di Palladio (1580), nel 1603 l’edificio venne completato dall’architetto vicentino Vincenzo Scamozzi per conto dei fratelli Odorico e Mario Capra che avevano acquistato la proprietà nel 1591.
Scamozzi introdusse diversi cambiamenti al progetto originario di Palladio; ad esempio, fu probabilmente lui a modificare la forma della cupola che sovrasta l’edificio – che ne I quattro libri dell’architettura Palladio rappresenta assai più alta e caratterizzata da un profilo semisferico – in modo da farla assomigliare a quella del Pantheon di Roma.

Villa Capra detta la “Rotonda” Vicenza, di Andrea Palladio 1566

Palladio… un’architettura spirituale

Rosa selvatica

COME UN SEGNALE STRADALE

…io vi indico semplicemente la direzione. Il cartello non è assolutamente importante, è importante il viaggio. Chi vi parla non è un guru, non è un’autorità, non è una guida. Ciascuno deve intraprendere il viaggio interiore da solo, non come reazione per allontanarsi dalle cose esterne, ma come inevitabile processo del cercare di comprendere.” Jiddu Krishnamurti

Jiddu Krishnamurti

JIDDU KRISHNAMURTI

La verità è una terra senza sentiero

Jiddu Krishnamurti è nato l’11 maggio 1895 a Madanapalle, una piccola città nel sud dell’India. Un aspetto molto importante della sua biografia è il fatto di essere stato adottato da ragazzo, insieme al fratello, da Annie Besant, allora presidente della Società Teosofica. Besant e altri di quell’organizzazione ritenevano che Krishnamurti sarebbe stato un insegnante del mondo di cui i teosofi avevano predetto l’avvento. Per preparare il mondo a tale venuta, venne creata un’organizzazione mondiale ad hoc, chiamata l’Ordine della Stella in Oriente, con a capo lo stesso Krishnamurti, allora ancora giovane.

Nel 1929 Krishnamurti rinunciò a tale ruolo, sciolse l’Ordine – che nel frattempo aveva acquisito un enorme seguito – e restituì tutto il denaro e le proprietà che erano state donate all’organizzazione. Rinunciò anche al ruolo di figura di riferimento dei teosofi e tagliò tutti i legami con qualsiasi nozione di organizzazione religiosa o spirituale. La seguente affermazione di Krishnamurti spiega bene il pensiero dietro tale atteggiamento: “La verità è una terra senza sentiero: l’uomo non può raggiungerlo attraverso alcuna organizzazione, attraverso alcun credo, attraverso alcun dogma, sacerdote o rituale, non attraverso alcuna conoscenza filosofica o tecnica psicologica. Deve trovarla attraverso lo specchio della relazione, attraverso la comprensione dei contenuti della propria mente, attraverso l’osservazione e non attraverso l’analisi intellettuale o la dissezione introspettiva. ”

Per tutto il resto della sua lunga vita, ha cercato di porsi non tanto come autorità spirituale, quanto piuttosto come investigatore, che indaga sulle questioni fondamentali della vita mettendone in discussione tutti i presupposti e sfidando i propri ascoltatori a fare lo stesso.

È stato stimato che Krishnamurti, nel corso della sua vita, abbia prodotto 100 milioni di parole, nel corso di 60 anni di apparizioni più o meno ininterrotte in tutto il mondo. Alla sua morte avvenuta nel 1986 all’età di 91 anni, diede indicazione di diffondere in tutto il mondo il suo corpus di opere non interpretate e autentiche

tratto da: https://zeninthecity.org/krishnamurti/

Kabir

Kabīr o Kabir (1440 circa – 1518 circa) è stato un mistico e poeta indiano. È tra i mistici medievali più celebri dell’India, anche solo per il fatto di essere egualmente venerato sia dagli hindū che dai musulmani. La sua famiglia – appartenente all’umile casta dei tessitori – era quasi certamente musulmana, ma aperta anche all’influenza dei Nātha, una tradizione yogica diffusa in tutta l’India settentrionale. Ma l’effettivo credo religioso di Kabīr resta un mistero, poiché in alcune sue opere afferma di essere hindū, in altre un musulmano e in altre ancora né l’uno né l’altro.

La leggenda narra che – dopo il perenne peregrinare durato tutta la vita, giunto forse all’età centenaria – scelse di morire a Maghar, piccolo e povero villaggio nei pressi di Gorakhpur, nell’India nordorientale. Secondo le credenze locali chi moriva a Vārāṇasī (che era la sua città natale) guadagnava una certa rinascita favorevole nei paradisi divini; viceversa, morire a Maghar, significava un altrettanto certa rinascita nella forma di un asino. E lì scelse di finire i suoi giorni Kabīr, rifiutando la facile rinascita nel mondo divino. Quando il santo stava per morire, due fazioni opposte di hindū e di musulmani convergevano armate verso Maghar per rivendicarne le spoglie: i primi per cremarle, i secondi per tumularle. Così Kabīr decise di ritirarsi in una tenda da dove scomparve. Gli hindū e i musulmani lì convenuti trovarono solo un mazzo di fiori, che fu egualmente diviso tra le fazioni: i musulmani tumularono la loro parte e sui resti eressero un monumento islamico.  La stessa cosa fecero gli hindū, che invece li bruciarono e dispersero nel fiume Gange, costruendo sopra il luogo della cremazione un samādhi, una tomba commemorativa della loro religione.

Kabīr rifiutava qualsivoglia religione “rivelata”, negando decisamente autorità religiosa sia al Corano che ai Veda. Questo lo rende molto vicino a molto maestri spirituali contemporanei  – si pensi specie a Krishnamurti, ma anche a Osho o Eckhart Tolle – e probabilmente spiega la sua popolarità anche nei nostri giorni.

La riscoperta in tempi moderni di Kabīr si deve a un altro grande poeta indiano, Rabindranath Tagore (1861-1941). Ma è da attribuire a un altro grande poeta, Ezra Pound (1885-1972), il risveglio di attenzione che la poesia del grande poeta mistico indiano ha ottenuto in Occidente a partire dai primi anni del Novecento, e cioè quando proprio Pound tradusse e pubblicò tredici sue poesie.

tratto da:https://zeninthecity.org/poesia-meditazione/kabir-difficolta-una-delle-piu-belle-poesie-del-grande-mistico-e-poeta-indiano/

La liana

“Dice Kabir: la mia ansia d’incontrare il Signore cresce aggrovigliata come una liana: può spezzarsi nel corso della sua avanzata lungo la parete, ma l’idea di potersi recidere non esiste in lei.”

“Dice Kabir: lascia che la liana nel tuo corpo si ramifichi vigorosa, abbarbicata la tronco poderoso del nome di Hari (Signore)”.

versi del poeta dell’India del Nord Kabir (1440-1518) tratto da: “Mistici indiani medievali”, a cura di L.P.Mishra, UTET, Torino 1971, pg. 278

Energia dell’Ariete

E’ l’inizio, la manifestazione. In questo momento dell’anno la primavera va sostituendosi lentamente all’inverno. La linfa fin d’ora trattenuta dai rigori invernali è pronta ad esplodere nell’esuberanza della nuova stagione. La Creazione si compie nuovamente. Il Sole entra nella costellazione dell’Ariete. Lo schiudersi dei semi, fino ad ora trattenuti dalla Terra dal rigore invernale, ha l’impeto del primo segno dello zodiaco,rompe con determinazione ogni legame che lo costringa. L’Ariete è il primo segno zodiacale che oltrepassando la porta dell’equinozio di primavera entra con tutta la sua forza nella sequenza delle dodici energie dell’anno. Il principio alchemico è quello del Fuoco e l’essenza archetipica è quella della Volontà creativa. Questa vibrazione manifesta l’impulso creatore che brucia, la visione interiore che cerca di realizzarsi, indipendentemente dalle circostanze che la vedono protagonista. L’opportunità di vivere questo stato va equilibrata attraverso il senso di rispetto per l’altro, avendo sempre ben presente il bene comune. E’ l’energia della Bilancia, segno opposto nello zodiaco al focoso Ariete, ad insegnare e riarmonizzare trovando un equilibrio tra la propria visione e quella dei suoi simili. Quale opportunità trascorrere questi giorni in questa dimensione consapevole. Trarre fiducia e coraggio dalla trasformazione che viene da questo tempo.

Una delle possibilità

14. (1934)  “Il malcontento, la tristezza delle persone dipendono essenzialmente dal non essere esse capaci di pervenire a una espressione massima o totale della loro personalità. Quando un uomo arriva alla completa e libera manifestazione del suo essere, cioè ad esaurire tutte le possibilità che esso contiene, allora soltanto ha il sentimento di avere compiuto tutto il suo dovere, il suo unico e massimo dovere, e con questo ottiene la pace del suo spirito. Perciò gli uomini sono sempre e così oscuramente irritati contro tutto ciò che impedisce loro la perfezione (il cosiddetto paradiso); contro i casi o le persone, contro la vita stessa, varia e diversa, che è in loro, e infine, e quasi sempre, contro se stessi. L’uomo si irrita sempre contro tutto ciò che riflette od amplifica quella immagine del suo sé imperfetto, che esso si sente di essere. Ma può l’uomo esaurire tutte le possibilità che sono in lui?  Sa egli soltanto quante possibilità sono in lui? Pure sarebbe sufficiente che egli esaurisse veramente una delle sue possibilità, degli infiniti mondi possibili che egli, come il Dio di Leibniz, può creare, perché con ciò egli fosse veramente perfetto, perché egli avesse esaurite in quell’atto stesso tutte le possibilità e tutti mondi. “

Tratto da: “Il Dio negativo” Scritti teoretici 1925-1981, Andrea Emo, Saggi Marsilio  ed. 1989

L’eterna presenza di cui il tempo è soltanto una forma

“Non devo pensare soltanto a ciò che sarò tra pochi anni (cioè un uomo morto, ma ancora da taluno ricordato), ma  a ciò che sarò tra alcuni  miliardi di miliardi di anni, quando non esisterà più né la terra né il sistema solare. Che cosa sarò in quel lontano remoto futuro? Sarò il medesimo, sarò ciò che sono ora; sarò l’attualità che mi é e che mi vive, che vive in me; l’eterna presenza di cui il tempo è soltanto una forma; la forma negativa della presenza; la presenza è assolutamente negativa. Una forma negativa a cui noi tentiamo di dare un’ obiettività. Ma che non può essere obbiettiva. “

Tratto dal Quaderno 205, 1959 Verso la notte e le sue ignote costellazioni. Scritti sulla polite sulla storia.”, Andrea Emo, ed. Gallucci

L’energia dei Pesci

Dal 20 febbraio entriamo nel dodicesimo e ultimo segno della ruota zodiacale: i Pesci. E’ la fine dell’anno cosmico. Cadono le ultime nevi e l’aria si fa meno fredda. Le piogge lavano la terra portando via tutto quello che la fase invernale aveva accumulato. La Natura esaurisce così l’ultima fase dell’inverno. L’energia che si alterna è quella del dissolvimento e quella della rinascita. Nel simbolo del segno due pesci puntano uno alla profondità delle acque e uno al cielo, verso la luce, collegati tra loro da una corda rossa. Questo movimento è eterno e instancabilmente perpetuato nella fede della sua ragion d’essere. Le paure terrorizzanti delle profondità che dobbiamo attraversare vengono naturalmente scalzate in un’alternanza naturale, così come la luce prende il posto del buio, dell’ombra che temiamo. La fede nell’invisibile, nella legge profonda che governa gli eventi della vita, ci regala la speranza nella rinascita, dopo un’inverno scuro e apparentemente senza vita. Il segno dei Pesci ha caratterizzato l’energia di questi ultimi duemila anni e il Cristo che porta la luce nell’estremo sacrificio di sé ne è l’emblema totale. Paradossalmente questa ricerca ha portato a un’immersione totale nelle forze terrene fino ad arrivare al realizzarsi di un materialismo assoluto. Tutto si è compiuto perché si abbia la coscienza che nulla di ciò che è avvenuto in questi ultimi duemila anni dovrà più accadere. La nuova era avrà il timbro dell’energia dell’Acquario, l’uomo dopo essersi conosciuto, tenderà finalmente ad essere, a compiersi.

Lo stato di prima

Dio ristabilì Giobbe nello stato di prima, avendo egli pregato per i suoi amici; accrebbe anzi del doppio quanto Giobbe aveva posseduto. Tutti i suoi fratelli, le sue sorelle e i suoi conoscenti di prima vennero a trovarlo e mangiarono pane in casa sua e lo commiserarono e lo consolarono di tutto il male che il Signore aveva mandato su di lui e gli regalarono ognuno una piastra e un anello d’oro.  Il Signore benedisse la nuova condizione di Giobbe più della prima ed egli possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. Ebbe anche sette figli e tre figlie.  A una mise nome Colomba, alla seconda Cassia e alla terza Fiala di stibio. In tutta la terra non si trovarono donne così belle come le figlie di Giobbe e il loro padre le mise a parte dell’eredità insieme con i loro fratelli.

Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant’anni e vide figli e nipoti di quattro generazioni. Poi Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni.

Tratto dal libro di Giobbe